“Nit nitay garabam, il rimedio dell’essere umano è l’essere umano”: Nogaye Ndiaye ai microfoni di Paisemiu

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Intervista a Nogaye Ndiaye, attivista e divulgatrice, organizza corsi di formazione, workshop, festival e panel su antirazzismo e femminismo, laureata in giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano Bicocca, è anche creatrice del profilo @leregoledeldirittoperfetto. La sua prima opera s’ intitola “Fortunatamente Nera – Il risveglio di una mente colonizzata” pubblicata nel 2023 con la casa editrice Harper Collins. In giro per l’Italia a presentare il suo libro, ha fatto tappa anche all’Università del Salento ed al carcere Borgo San Nicola di Lecce, ospite del progetto “Libere di leggere”.

Come e perché nasce l’idea di scrivere questo libro?

L’idea di scrivere questo libro è nata in modo quasi inaspettato, come un’onda che mi ha travolta mentre ero immersa nelle profondità della mia esperienza in Senegal. Non avrei mai pensato di scrivere un libro, e quando Harper Collins ha bussato alla mia porta, quasi ho temuto di svenire per l’emozione. Durante il mio soggiorno in Senegal, ho tenuto un diario per registrare i miei pensieri e le mie riflessioni, non perché volessi diventare un’autrice, ma perché avevo bisogno di dare forma tangibile al caos che sentivo dentro di me. Scrivere è sempre stata una mia pratica per elaborare i miei sentimenti, per trovare un senso nel disordine che a volte sembra pervadere la vita. È stato un modo per trattenere i momenti, per non dimenticare nulla di ciò che stavo vivendo, per cercare un ordine dove c’era solo confusione.

Cosa significa “White privilege” e perché oggi questo termine ha assunto un’accezione negativa?

Il concetto di “White privilege” è fondamentale per comprendere le dinamiche sociali e culturali che permeano le nostre società. Il privilegio bianco è un concetto che si riferisce ai vantaggi sociali, economici e politici automaticamente goduti dalle persone bianche in virtù del fatto di avere la pelle bianca, all’interno di una società che privilegia la bianchezza. Questi vantaggi sono spesso invisibili o non riconosciuti dalle stesse persone che ne beneficiano, in quanto sono considerati la norma o il “modo standard” di vivere. Il privilegio bianco si manifesta in molteplici forme, come l’accesso privilegiato all’istruzione, al lavoro, alla salute e alla giustizia, nonché nel trattamento preferenziale nei confronti delle istituzioni e delle autorità. È importante sottolineare che il privilegio bianco non deriva da un merito individuale, ma piuttosto dalla posizione di vantaggio all’interno di un sistema sociale e culturale che ha storicamente favorito le persone bianche a discapito di altre etnie e identità. Riconoscere il privilegio bianco è fondamentale per comprendere e affrontare le disuguaglianze razziali e lavorare verso una società in cui i diritti non diventino privilegi. Tuttavia, oggi il termine ha assunto un’accezione negativa perché spesso viene frainteso e interpretato come un’accusa di colpa nei confronti delle persone bianche. In realtà, riconoscere il proprio privilegio significa assumersi la responsabilità di combattere le disuguaglianze e lavorare per un mondo che si possa definire equo.

Può descrivere la sensazione di sentirsi straniera in Italia ma anche nel proprio paese d’origine? Attualmente ha superato questa percezione?

Sentirsi straniera sia in Italia che nel mio paese d’origine è stata un’esperienza complessa e travolgente, che ha segnato profondamente il mio percorso di vita. Sono nata e cresciuta in un contesto culturale completamente diverso da quello del Senegal, dove la mia famiglia ha le sue radici. I valori e le tradizioni che ho ereditato sono spesso diametralmente opposti a quelli della società senegalese in cui mi sono trovata immersa solo a 23 anni. In Senegal, la mia presenza è stata contrassegnata dall’etichetta di “Toubab”, che letteralmente significa “uomo bianco”. Questo termine rifletteva la percezione delle persone nei confronti delle mie abitudini e del mio modo di vivere, differenti da quelli locali e, quindi, estranei alla loro realtà quotidiana. Tuttavia, anche in Italia, non ho mai smesso di percepire una certa estraneità, nonostante sia il mio paese di residenza da tutta la vita. Le mie radici culturali e la mia identità venivano percepite come differenti dalla norma, prim’ancora di qualsiasi altro elemento che potesse definire la mia persona. Questo senso di estraneità è stato motivo di riflessione continua e profonda nel corso della mia vita. Ho dedicato un intero libro a questa sensazione, cercando di esplorare a fondo il senso di appartenenza e l’alienazione che ne deriva. Essere nel mezzo, in un limbo culturale dove non ci si sente appartenere né da una parte né dall’altra, è stato un tema ricorrente nei miei pensieri e nelle mie esperienze. È come trovarsi su una sottile linea di confine, dove non si è mai pienamente accettati né completamente integrati. Questa dualità, sebbene possa essere dolorosa e frustrante, ha anche arricchito la mia comprensione del mondo e delle relazioni umane. Mi ha portato a esplorare il concetto di identità in modo più profondo e a cercare un senso di appartenenza che va oltre i confini culturali e geografici.

Ogni capitolo del suo libro si apre un proverbio. Qual è quello che più la rappresenta?

Tra i numerosi proverbi che introducono i capitoli del mio libro, ce n’è uno che risuona particolarmente con la mia esperienza: “Il rimedio dell’essere umano è l’essere umano”. Questa frase incapsula perfettamente il cuore del mio viaggio interiore e della mia crescita personale. Attraverso gli incontri e le relazioni che ho tessuto lungo il cammino, ho imparato che le persone sono la vera linfa vitale della nostra esistenza. Sono stati gli individui che ho incontrato lungo la strada a guarire le ferite del passato e a illuminare il mio cammino verso la comprensione e l’accettazione di tutte le mie caratteristiche identitarie. Le persone sono la chiave di tutto, nel bene e nel male, e il cambiamento reale avviene solo quando siamo disposti a cambiare noi stessi e le nostre prospettive.

Ritiene che l’Italia sia un Paese razzista?

Rispondere alla domanda se l’Italia sia un Paese razzista richiederebbe una riflessione profonda e un’analisi approfondita delle dinamiche storiche e sociali che caratterizzano il nostro paese. Il razzismo è un fenomeno complesso e multiforme, radicato in secoli di discriminazione e oppressione. Per comprendere appieno la situazione attuale, è necessario guardare al passato e riconoscere le ingiustizie perpetrate nel nome della supremazia bianca e del colonialismo. Solo attraverso una conoscenza critica della storia possiamo comprendere le disuguaglianze e le disparità che ancora affliggono le nostre società. In questo contesto, la risposta alla domanda è inequivocabile: sì, l’Italia è un Paese in cui il razzismo è ancora presente e permea molte sfere della vita quotidiana. Tuttavia, riconoscere questo problema è il primo passo verso il cambiamento e la costruzione di una società più equa e rispettosa delle differenze intrinseche al nostro essere umani.

Laurea Triennale DAMS è attualmente iscritta alla magistrale di Storia dell’Arte. Socia fondatrice di "Palchetti Laterali", svolge attività di divulgazione teatrale e di tutoraggio per studenti con disabilità psicomotoria e sensoriale. In possesso del diploma di 1° Livello in LIS è anche esperta in Audiodescrizione

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