La santità delle minne di Sant’Agata e delle bocche di dama. Dalla Sicilia al Salento due dolci parlano dello stesso martirio

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La forma è inequivocabile, quella dei seni della celebre Santa, patrona di Catania e compatrona di Gallipoli, ma la cui reliquia più importante, una mammella, approdò a Gallipoli da Costantinopoli. La leggenda narra sia stata trovata da una giovane donna vicino al mare, su una spiaggia che viene chiamata “della purità” e rimase a Gallipoli nella Cattedrale di S.Agata fino al 1380. Raimondello del Balzo Orsini la trasferì nella Basilica di S.Caterina d’Alessandria a Galatina dove è attualmente custodita in un reliquiario.

Due dolci ricordano la santa, o meglio, i suoi seni. Bianchi con una ciliegia rossa. Perché sacro è ricostruire la storia, mettere in relazione, far entrare la cucina in uno spettro più ampio che ci dice tanto della cultura e delle tradizioni di popoli distanti ma a volte molto simili. E ci consente di alleggerire storie drammatiche, come fu quella del martirio della Santa a cui furono strappati i seni.

Dal 3 al 5 Febbraio a Catania è un obbligo mangiarle, si festeggia la Santuzza, e le si trovano ovunque. Le minne sono cassatelle fatte di pan di Spagna bagnato di rosolio e ripiene di ricotta e scaglie di cioccolato. La forma tondeggiante è evidenziata da una glassa bianchissima con una ciliegia rossa candita a evidenziare il capezzolo. Un dolce sicuramente impudico che porterà il protagonista del Gattopardo a chiedersi “… Sembrava una profana caricatura di Sant’Agata, esibente i propri seni. Come mai il Sant’Uffizio, quando poteva, non pensò di proibire questi dolci”.

In moltissime pasticcerie salentine si trova un dolce simile nella forma alle famose minne siciliane ma molto meno elaborato, con un ripieno di crema pasticciera. L’unico mistero rimane il nome, bocca di dama. La forma non ricorda le labbra dunque la domanda che ci si pone è se si tratta di un eccesso di pudicizia o di semplice ipocrisia. In tutti i casi val la pena assaggiarle tutte le minne, o minnuzze che si voglia, siciliane e salentine, per cercare di comprendere quanto sia dolce affondare i denti in una montagna di zucchero bianco con una ciliegina “on top”.