Novoli, ricordanze della mia adolescenza

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Ricordanze

Novoli, Ricordanze della mia adolescenza è il titolo della raccolta di racconti di don Oronzo Mazzotta, pubblicata a cura della Fondazione Fòcara di Novoli.

La raccolta si presenta come un susseguirsi di affreschi, dai vivaci colori, che ricompongono il tessuto umano e sociale di Novoli negli anni che vanno dal 1919, anno di nascita dell’autore, al 1940, anno in cui egli assiste alla dichiarazione dell’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale. In questi brevi racconti, l’autore presenta la vita di un paese rurale, il cui ritmo è scandito dal nascere e morire, dai matrimoni e, soprattutto, nella prospettiva di un’identità di gruppo, dall’avvicendarsi delle stagioni e dalle feste paesane: la vendemmia, la fiera di Campi, il presepe…

Ogni racconto è un quadretto in sé compiuto, che narra aspetti di una comunità legata alle tradizioni, corale, in cui il forno, la sagrestia, il salone del barbiere, il trappeto sono luoghi di aggregazione, ancor prima che di lavoro. Capita, così, che nel forno della Betta ci si rechi non solo per acquistare il pane o altro, ma per scambiare due chiacchiere, spettegolare e dire la propria sui fatti del paese, anche a costo di sentir bestemmiare il fornaio.
C’è il racconto di un modo di vivere ormai lontano: fidanzati che possono vedersi solo alla presenza dell’anziana madre, che impedisce qualsiasi forma di intimità (I fidanzati), c’è una pizzicata, con tanto di suonatori e di curiosi accorsi ad assistere alla sua danza parossisitica; c’è la durezza del lavoro per chi, come Pierino nel racconto “Voglia di scuola”, vorrebbe sfuggire agli impegni scolastici; c’è il funerale di Crocifisso, con la recita del Diesire e del Diesilla, che garbatamente prende in giro la scarsa conoscenza del latino e una certa religiosità popolare, dove la devozione occhieggia alla superstizione; la stessa devozione emerge attraverso la recita del rosario come consuetudine, o attraverso le giaculatorie recitate con funzione quasi apotropaica in occasione dei temporali.

I racconti si intrecciano attraverso il ripetersi di alcuni tipi umani e attraverso la continuità del tessuto sociale descritto; il lettore ne ricava un’impressione poderosa di coralità, di vita di paese.
A Natale, nel racconto “Il presepe”, dunque, è festa per la famiglia, ma anche per gli ospiti che vengono accolti con leccornie e dolci tipici; il matrimonio di Pippi Passaru e Pia Rosa Cardilla è l’occasione per offrire agli invitati copeta, marzapane, mostaccioli, rosoli, non prima, però, di un’accesa discussione, fra le donne delle famiglie coinvolte, circa la composizione e l’entità della dote della sposa.
C’è poi tutta una carrellata di personaggi, dipinti con pochi tocchi essenziali, che caratterizzano alcune abitudini e tradizioni della comunità negli anni ’20-’40: l’elegante prefica, l’anziana levatrice, il nachiro, il sagrestano, il concia brocche.
Sono tanti i riferimenti al Fascismo: la casa del Fascio, il podestà, i puntualissimi treni di Mussolini, i Balilla e le manifestazioni; l’autore, tuttavia, non ne fa una questione politica. Nel prologo, infatti, egli afferma: “Io non avevo l’età per giudicare il Fascismo e la mia era una delle molte famiglie novolesi che consumavano la giornata con tre “C”: casa, campagna, chiesa”. In questa affermazione è racchiusa tutta la visione sociale dello scrittore: effettivamente il Fascismo c’era, ma non condizionava l’esistenza; ciò che era determinante per lui e per la società raccontata erano la casa, intesa come famiglia, luogo fondamentale di aggregazione e prima cellula sociale, la campagna, perché il contesto dei nostri paesi, almeno fino agli anni ’60, è prevalentemente rurale, e la chiesa, giacchè la religiosità pervadeva interamente la vita quotidiana, a partire dal rintocco delle campane che scandiva in modo sacro lo scorrere delle ore, dalla prima Ave Maria fino all’Angelus, che segnava la fine delle attività lavorative. Il narrare è lieve, in alcuni punti divertito, a cogliere con indulgenza i tratti di un’umanità percepita come familiare; l’autore si sente vicino ai personaggi da lui narrati, è uno di loro; per questo ne racconta con partecipazione anche le debolezze. La prosa è scorrevole, gradevole a leggersi, impreziosita, di tanto in tanto, da ricercatezze lessicali che, lungi dall’appesantirla, catturano l’attenzione, invitando a recuperare immagini ed emozioni.

È il racconto di un mondo passato, che non c’è più; ma non c’è nostalgia: l’autore recupera dalla memoria, diretta o raccontata, fotografie di vita quotidiana da consegnare alle nuove generazioni come testimonianza di qualcosa che è stato, da ricordare con affetto e simpatia.