Un’altra “banale” storia di Natale

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Iniziamo questo articolo o questa storia, chiamatela un po’ come volete, facendo finta di essere in un film, immaginando l’inquadratura di una telecamere che, dall’alto, riprende un piccolo paesino innevato di provincia; è il periodo di Natale, la telecamera si avvicina sempre di più inquadrando una casetta illuminata e addobbata per l’occasione, la neve scivola sull’obiettivo accarezzandolo lentamente, ecco la finestra di quella casa, all’interno vi è un anziano signore che guarda gli album di famiglia, sembra triste, la telecamera però si avvicina ancora di più verso il presepe, un presepe fatto con cura di dettagli, sembra quasi di vivere al suo interno; un pastorello, un piccolo pastorello steso al di fuori delle mura della città, cattura la nostra attenzione, sarà forse un vagabondo capitato lì per caso? O avrà semplicemente bisogno di riposo a causa della lunga strada fatta per vedere il Messia?

Ora noi che leggiamo, chiudiamo un attimo gli occhi e lasciamoci trasportare dalla magia del Natale; uno… due… tre… Il piccolo pastorello apre gli occhi e si trova proiettato fisicamente nel nostro mondo…

Ma che succede? Quelle che erano fioche fiaccole del grosso portone all’entrata della città, furono sostituite da grandi luci capaci di creare disegni mai visti prima; i muretti in pietra e le case con tetti in legno e paglia, scomparvero lasciando il posto a dimore imponenti e piene di sfarzosità mai vista. E questo frastuono cos’è? Quante gente per le strade, e quei grossi animali che trasportavano persone nelle loro pance, cosa sono? E tutti quei poveri uomini stesi nelle strade, con stracci simili ai miei, persone che ricercavano cibo in mezzo a grossi cumuli di avanzi, scherniti da tutti i passanti, che non curanti passavano accanto senza nulla fare, come se fossero invisibili. Mamme con bambini piccoli, sporchi forse di terra, chiedevano danari ai passanti  per poter nutrire i loro piccoli. Ero finito forse in un posto sconosciuto alla mano di Dio?

Iniziai a vagare disperato, fermando qualcuno e chiedendo loro dove si trovasse il Messia, la mia strada era oramai smarrita. Questi farisei mi evitavano, farisei vestiti in modo ambiguo, strano, sembravano venuti chissà da quale mondo. Man mano che proseguivo il mio cammino verso il nulla, sentì un forte odore dolciastro, non sapevo cosa potesse essere ma sembrava buono, così decisi di seguirlo. Cammina cammina, mi ritrovai finalmente in un posto simile a quello da cui provenivo, sembrava Betlemme,  anche se, oltre agli abiti a me familiari, vi erano sempre quei farisei vestiti in modo strano, era come se mi trovassi in mezzo a due mondi. Ad un tratto sentì il pianto di un neonato, forse ero arrivato a destinazione? Forse quello era proprio il Messia? Decisi allora di seguire quel lamento, fino a trovare la splendida grotta con Giuseppe e Maria, ma soprattutto lui, il prescelto da Dio, il figlio di Dio. Mi avvicinai lentamente, avevo quasi dimenticato le mie disavventure, era totalmente preso da Nostro Signore. Decisi allora di accarezzarlo, per sentire tutta la sua benevolenza, ma mentre la mia mano si tese verso il piccolo, una signora con veste corta rossa con su scritto una breve parola (staff) a me incomprensibile, mi chiese se volessi una foto ma non capivo quelle parole, allora mi guardai attorno, notando tutta la finzione in cui ero sprofondato, era come se mi fossi ritrovato in un teatro, dove anche i personaggi di Giuseppe e Maria erano maschere fasulle, me ne accorsi dai loro calzali, scarpe bianche con una scia rossa mai viste prima. Scappai… Corsi per tutta la notte invocando Dio con tutto me stesso, chiedendo di potermi svegliare da quell’incubo in cui era sprofondato. Mi ritrovai in fine al punto di partenza, vicino quella casa, dove al suo interno, un anziano oramai al di là degli anni, con un sottofondo musicale (stile canzoni di Natale anni ’30), molto dolce che sapeva quasi di casa, osservava qualcosa tra le sue mani. Fu allora che decisi di bussare chiedendo di poter entrare; l’anziano signore, vedendomi forse spaventato e vestito di stracci, mi fece entrare. La sua casa era davvero molto accogliente, vi erano ovunque immagini della sua famiglia e ad un angolino la rappresentazione del posto dal quale ero venuto; che dettagli, che minuziosità, sembrava di vedere Betlemme dall’alto. Ad un certo punto iniziò a parlare e senza che io proferissi parola, mi narrò della sua famiglia, della morte prematura della moglie, della partenza dei figli che oramai da due anni non andavano più a trovarlo perché troppo lontani; mi raccontò della sua solitudine, di quanto ogni anno in questo periodo che loro chiamavano Natale, cercava di rimettere tutti gli oggetti nello stesso posto in cui erano l’ultima volta che aveva festeggiato con la sua famiglia, con la sua adorata moglie, proprio per ricreare la magia di quei momenti. Le sue parole racchiudevano tanto amore ma allo stesso tempo un’immensa tristezza. Mi raccontò di quanto oramai aspettasse solo il giorno in cui avrebbe potuto raggiungere la sua amata nelle braccia di Dio. Lo guardai, lo abbracciai forte, come se fosse mio padre e gli dissi che la sua vita non era inutile, ognuno di noi ha il compito di prendersi cura dei più deboli, degli ultimi, di chi ha bisogno anche solo del semplice pasto caldo per poter nutrire i propri figli. Dovremmo vivere come se fossimo figli di tutti e genitori del mondo, al di là della discendenza. Indicai il presepe, lo guardai e dissi, che Lui, nel mio tempo era venuto per insegnarci proprio questo, la carità verso il prossimo, l’amore verso Dio e verso gli ultimi. Il vecchio signore, con occhi pieni di lacrime mi guardò e mi disse che era arrivato il momento di tornare da dove ero venuto, perché il mio compito era stato svolto. Fu allora che riaprì gli occhi nel posto in cui mi ero addormentato. Capì che tutti noi facciamo parte di un presepe fatto di piccoli mondi in cui non è bello viverci se non si ha un obiettivo, un obiettivo aulico e volto verso l’aiuto dei più deboli. Mi alzai, ripresi la mia strada verso il Messia, non solo intesa come strada fisica, ma come stile di vita. La cosa che mi sorprese, fu vedere dal mio piccolo mondo, che ogni anno durante le feste, quell’anziano signore, invitava nella sua casa tutti i poveri del quartiere per festeggiare insieme il Natale; un atto non dovuto, un atto di carità, un atto che donava felicità a lui e a tutte quelle persone che nulla di materiale chiedevano, se non un pasto caldo e un luogo che regalava loro un po’ d’amore.

Ed ecco la nostra telecamera, che dal piccolo pastorello pensieroso e felice, zoomma all’inverso fino ad inquadrare il piccolo paesino di provincia, dove si susseguono tante vite, alcune delle quali, tal volta, anche se all’apparenza possono sembrare inutili, non sono altro che vite di tanti piccoli pastorelli che fanno parte di questo grande presepe chiamato mondo.

Classe ‘86, vive a Squinzano, piccolo paese della provincia di Lecce. Fin da adolescente manifesta una forte passione per la scrittura, percepita come insostituibile mezzo di espressione personale e di comunicazione diretta al cuore delle persone. Appassionato di arte, storia ed archeologia, cresce nel quartiere di Sant’Elia, luogo ancora ricco di mistero, dove conduce ricerche e studi su un convento del 1500, effettuando numerose e importanti scoperte archeologiche che gettano nuova luce sul complesso monastico. Scrive su diversi blog e giornali come “Salento Vivo”, “Spazio Aperto Salento”, “L’ORticA”, “Il Trepuzzino”. È in procinto di pubblicare la sua prima raccolta di scritti con Aletti Editore.

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