“C’è un paio di scarpette rosse”. La poesia per non dimenticare

0
112

27 Gennaio: quel giorno del 1945, i cancelli di Auschwitz vennero spalancati ed il mondo conobbe l’inconoscibile, l’inspiegabile, l’inimmaginabile: tutto l’orrore ed il terrore che si sarebbe potuto leggere negli occhi dei deportati, ora era riflesso nello sguardo dei soldati dell’Armata Rossa, che vi entrarono per la prima volta, liberando i superstiti.

I lager nazisti erano il simbolo della follia e della folle e scellerata, gratuita cattiveria umana: strumenti di tortura, di morte, camere a gas, docce killer, forni crematori, cumuli di cadaveri scheletrici a cui era stata cancellata anche la dignità, ridotti com’erano ad un numero tatuato sul braccio, montagne di oggetti appartenuti, una volta, a un uomo, a una donna, a un bambino.

L’omaggio più sentito – in questa infausta ricorrenza – è per i bambini, quegli uomini e donne in miniatura a cui sono stati rapinati, nel modo più atroce, vigliacco e spietato, il futuro e la felicità. Senza più passi per andare o sogni in cui poter credere. La poesia di Joyce Lussu (Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti) “Un paio di scarpette rosse”, racchiude tutto l’abominio. Queste scarpette, numero 24, erano in cima ad un cumulo di altre scarpette appartenenti a bambini che in quel luogo hanno trovato la morte. Bambini piangenti di un pianto che nessuno riuscirebbe a sopportare, che nessuno vorrebbe sentire e che io spero di cuore che nessuno in futuro dovrà sentire mai.

C’è un paio di scarpette rosse numero ventiquattro quasi nuove: sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica Schulze Monaco c’è un paio di scarpette rosse in cima a un mucchio di scarpette infantili a Buchenwald. Più in là c’è un mucchio di riccioli biondi di ciocche nere e castane a Buchenwald servivano a far coperte per i soldati non si sprecava nulla e i bimbi li spogliavano e li radevano prima di spingerli nelle camere a gas c’è un paio di scarpette rosse di scarpette rosse per la domenica a Buchenwald erano di un bimbo di tre anni forse di tre anni e mezzo chi sa di che colore erano gli occhi bruciati nei forni ma il suo pianto lo possiamo immaginare si sa come piangono i bambini. Anche i suoi piedini li possiamo immaginare scarpa numero ventiquattro per l’eternità perché i piedini dei bambini morti non crescono c’è un paio di scarpette rosse a Buchenwald quasi nuove perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole.

Scrittore e nurse-reporter. Laurea in Infermieristica e Laurea Specialistica, Master in Management e Coordinamento. Redattore Paisemiu.com

LASCIA UN COMMENTO

Per favore scrivi un commento valido!
Inserisci il tuo nome qui

Convalida il tuo commento... *

CONDIVIDI
Previous articleIl ricordo dell’Olocausto nel Giorno della Memoria
Next articleAlice Sommer, la pianista sopravvissuta all’Olocausto