Surbo

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SurboIl Salento ha un territorio prevalentemente pianeggiante salvo delle lievi ondulazioni dette “serre” che, insieme alle Murge brindisine meridionali, delimitano la “Piana messapica” con le sue tre depressioni che corrono da nord-ovest a sud-est: la prima da Brindisi a San Pietro Vernotico, la seconda da Taranto a Porto Cesareo, la terza da S. Pietro Vernotico a Otranto. É all’interno di quest’ultima che si estende la “Valle della Cupa”, una depressione di origine carsica che Cosimo De Giorgi definì il “Tivoli leccese” perché, grazie al terreno fertile che la caratterizza e la vicinanza al capoluogo salentino, rappresentava il luogo di villeggiatura preferito dai nobili e dalla  ricca borghesia locale.

E nella cinta di Lecce, nella meravigliosa valle della Cupa, si trova la cittadina di Surbo dal nome che per alcuni sembra derivare dai sorbi, piante che crescevano in abbondanza in questo territorio mentre per altri è invece da attribuire alla sua posizione geografica che rendono il paese un “suburbium” della città di Lecce. 

Surbo, sia da un punto di vista storico-artistico che per i suoi stretti rapporti con il capoluogo stesso, è un paese di grande rilievo; i molti beni culturali di cui è in possesso ne fanno uno scrigno prezioso da scoprire ed apprezzare. Il casale di Surbo esisteva già nell’XII secolo quando il suo nome compare in un diploma del 1181 col quale Tancredi, conte di Lecce, lo dona insieme al vicino casale di Aurío alla zia Emma, badessa delle monache benedettine. Certamente Surbo esisteva precedentemente a questa data in quanto sono molti i reperti micenei  rinvenuti nella sua area abitativa; di fatto il paese risulta essere stato fondato dai coloni bizantini della Grancia di San Giorgio.

Dopo i Normanni, feudatari di Surbo furono gli Angioini e gli Aragonesi poi, nel 1643,  fu venduto a Livio Pepe, barone di Napoli e quindi ai Severino, conti di Pisignano. Nel 1757 il casale di Surbo fu acquistato dal duca Giuseppe Romano di Brindisi poi, nel 1805 fu della famiglia Patrizi di Brindisi che lo tenne fino all’abolizione del feudalesimo.

Il palazzo baronale delle cittadina fu quasi del tutto riedificato dai Severino nel Settecento  la cui arma, insieme a quella dei Pepe, compare sullo stemma che sormonta il portale; molto artistica e coreografica é la serie di mascheroni apotropaici che ornano sia l’esterno che l’interno del piano inferiore e del piano superiore.

Annessa al palazzo la piccola chiesetta di San Vito della prima metà del XVII secolo; Intitolata dapprima a Cristo Salvatore, successivamente fu dedicata a San Vito. L’altare barocco é sontuoso con al centro il dipinto di Cristo Salvatore incorniciato da raggi dorati. Molto importante la tela, attribuita al pittore Oronzo Tiso, che si trova alla sinistra dell’altare e che raffigura la Madonna Immacolata che schiaccia col piede il capo del serpente. In una nicchia vi é la statua in cartapesta della Madonna del Carmine, opera del 1899 di Oronzo Manzo.

La chiesa seicentesca di San Giuseppe custodisce al suo interno uno splendido altare del Martinelli ed anche un’interessante tela seicentesca.

La chiesa di Santa Maria del Popolo è l’antica matrice di Surbo; risalente al XIII secolo ha delle successive implementazioni che si sono sovrapposte nel corso dei secoli senza turbare l’armonia dell’edificio: gli archetti tipici del romanico, il portale cinquecentesco, l’altare dedicato a S. Oronzo, opera del Martinelli, quello dedicato a S.Antonio da Padova del ‘700, le importanti tele, il finestrone ottocentesco…..

Della chiesa della Madonna di Loreto si ha notizia fin dal 1610 quando Monsignor Spina, il vescovo di Lecce, compì una visita pastorale a Surbo e menzionò questa chiesa allora dedicata a Santo Stefano protomartire del quale esisteva un affresco, oggi perduto, dipinto sull’altare maggiore. Per molti anni la chiesa non fu utilizzata come luogo di culto e solo a metà dell’Ottocento la confraternita della Madonna di Loreto la prese in custodia. Oggi da qui partono le processioni del martedì di Pasqua. 

La storia del culto della Madonna di Loreto a Surbo è piuttosto oscura e si fa risalire ad un’antica leggenda che narra di una piccola statua di legno nero della Madonna di Loreto con il bambino ma senza braccia ritrovata da alcuni contadini nel tronco di un ulivo; trasportata nella chiesa matrice scomparve il giorno dopo per poi riapparire nello stesso tronco dove era stata rinvenuta la prima volta. Proprio in quei pressi  fu costruito il casale e la chiesa di Aurío. E la chiesa di Aurío é, insieme alla torre dei cavallari, quello che resta oggi del medievale casale di Aurío fondato dai monaci Italo-Greci giunti in Italia intorno all’VIII secolo per sfuggire alla guerra iconoclasta scatenata dall’Imperatore Leone III l’Isaurico nella loro terra d’origine. Lo stesso nome Aurío richiama le “Laure”, luoghi di cultura e di rito bizantino. E sempre per assonanza di nomi che nasce il culto della Madonna di Loreto a cui si somma anche il fatto che sia ad Aurío che a Loreto si veneravano statue di madonne simili tra loro, con l’incarnato nero, il Bambino e le braccia nascoste tra le pieghe del vestito.

Madonna dAurio SurboLa chiesa di Aurío, situata nelle vicinanze di Surbo e a 3 chilometri di distanza da Lecce, é in stile romanico-salentino ed ha un campanile a vela; la facciata a capanna presenta in alto degli archetti che continuano anche lateralmente; il portale é sormontato da una lunetta che conserva ancora resti dei fregi che la ornavano e ha ai lati della sua base due leoni stilofori molto compromessi. Sia all’esterno della chiesa che nel suo interno sui muri sono molte le immagini di navi graffite, forse opera di pellegrini che si affidavano alla Madonna prima di intraprendere un viaggio in mare. L’interno, a tre navate divise da otto colonne e grandi archi a tutto sesto, aveva originariamente affreschi su tutti i suoi muri, le cui tracce sono visibili in minima parte come i resti di una Madonna col Bambino degli inizi del XV secolo. Un pregevole polittico in legno di Vivarini (Venezia, 1430-1491) ornava l’altare maggiore; già nel 1928, anno in cui fu acquistata dallo Stato italiano,  questa importante opera d’arte aveva perduto quattro dei sette pannelli che la componevano. Oggi i tre restanti si possono  ammirare presso la Pinacoteca della Città Metropolitana di Bari.

Molte sono le leggende legate alla chiesa tra cui quella che racconta dell’imperatore Carlo V che, entrato nella chiesa in groppa ad un cavallo, fu disarcionato dalla bestia che aveva considerato sacrilego il gesto. 

Quasi di fronte alla chiesa sorge la “torre dei cavallari” del XVI secolo, così chiamata perché qui stazionavano i “cavallari”, cioè le truppe a cavallo di supporto alle torri costiere che controllavano l’interno del territorio in difesa delle incursioni piratesche e dei briganti. Sempre nei dintorni di Surbo insiste la masseria fortificata Melcarne  che si compone di vari ambienti strutturati intorno alla stupenda torre, svettante su tutto il territorio circostante. Edificata alla fine del XVI secolo, ha un nucleo cinquecentesco con rimaneggiamenti ed aggiunte dei secoli successivi.

Questa torre ha un notevole impianto difensivo che si nota soprattutto nelle possenti caditoie e negli ampi muri perimetrali all’interno dei quali sono state ricavate delle scalinate per accedere ai piani superiori. Perfettamente autosufficiente, poteva resistere per molto tempo agli attacchi dei nemici perché conservava nei suoi locali molte derrate alimentari ed aveva  una cisterna dalla quale  attingere l’acqua.