Novoli, lacerate, sporche e scolorite le bandiere in Municipio. E Giovanni De Luca scrive al Prefetto

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Bandiere Comune di Novoli 2

Novoli (Le) – «Chi rispetta la bandiera da piccolo, la saprà difendere da grande». È una tipica frase da libro Cuore. Infatti fu messa in bocca da Edmondo De Amicis a un vecchio ufficiale in pensione che aveva fatto la guerra di Crimea e che parlava con quella fierezza anacronistica, decisamente patriottico-militaresca, a un gruppo di giovani.

Si potrebbe postillare banalmente che se la bandiera non la rispettano i grandi, tantomeno sapranno rispettarla i piccoli. Se poi il tricolore viene maltrattato nelle scuole e nei luoghi istituzionali delle maggiori città, dove spesso penzola sfibrato e stracciato senza avere neanche più la forza di sventolare, viene fuori fatalmente il quadro di un Paese che ha perso l’amor proprio e il senso orgoglioso di un’appartenenza, pur non essendo da tempo – grazie al cielo – militarescamente patriottico come desiderava l’ufficiale deamicisiano. Perché questo, semplicemente, dovrebbe essere una bandiera: il simbolo dell’orgoglio nazionale, in cui si riassume il vivere collettivo (e non solo quando gioca la Nazionale ma anche nella vita ordinaria).

Bandiere comune di Novoi 1Per queste ed altre ragioni, Giovanni De Luca, consigliere comunale da poco migrato fra i banchi dell’opposizione, ha preso carta e penna ed ha scritto al Prefetto di Lecce, Giuliana Perrotta.

“Il sottoscritto (…) scrive per la prima volta nella sua storia politico-Istituzionale a Vostra Eccellenza, per evidenziare la totale mancanza di rispetto e sensibilità delle Istituzioni in carica presso il mio Comune, Novoli. Al cospetto dei cittadini, della storia, dei simboli e delle ricorrenze della Repubblica Italiana”. E continua: Voglia accettare il mio rammarico e le doverose scuse, ma ritengo necessario informarLa che nessuna cerimonia è stata effettuata in occasione del “27 gennaio” e  “10 febbraio”, istituzionalmente stabilite come “Giornata della Memoria” e “Giornata del Ricordo”: non un pubblico incontro e neppure un manifesto murario. Tale comportamento è grave in chiave storica – perché rischia di far scivolare nell’oblio il dramma di milioni di persone – e nell’analisi politica, perché non viene trasmesso ai giovani il senso del doveroso richiamo ai valori di pace, fratellanza, amore fra razze religioni e sesso, anche alla luce dei recenti e drammatici accadimenti internazionali”.

Poi De Luca arriva al dunque, documentando con immagini quanto va asserendo: “Ancora più grave e indecoroso nei confronti delle istituzioni della Repubblica Italiana, è la condizione delle nostre bandiere sul pennone comunale, oramai ridotte a stracci, sporchi ed anneriti dalla polvere e lacerati dal vento”. E conclude: Eccellenza, non ometto di considerare i più gravi problemi sociali ed economici che sono quotidianamente al centro delle mie preoccupazioni di amministratore, ma i simboli, i richiami ai valori etici e morali non devono mai venire meno, auto sancendo una resa ad un momento che seppur difficile, dobbiamo considerare di passaggio verso una forma democratica solida, più giusta, equa e rispettosa degli ultimi”.

Se la bandiera è uno specchio della Nazione, non può che riflettere lo sfilacciamento in atto, la sfiducia e la smagliatura del tessuto sociale. Ce lo ricorda Leo Longanesi, in uno dei suoi aforismi celebri capaci di colpire nel segno: «La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: Ho famiglia». Quell’auspicio iperrealista quanto dissacrante si potrebbe ripetere oggi, tale e quale, sessant’anni dopo. Sottinteso: bando alla retorica utopica e al sentimentalismo ipocrita, andiamo piuttosto alla cruda realtà quotidiana; non c’è bandiera che tenga in un Paese impoverito, ridotto a uno straccio, appunto.

Ma è anche vero che non c’è nessuno straccio di Paese (povero, distrutto, affamato) che abbia perso a tal punto il senso della collettività da non credere più nel proprio simbolo. Per questo, a volerla leggere come correlativo oggettivo, non c’è immagine più tristemente significativa del tricolore che si affloscia pallido ed esausto dalla facciata di un palazzo pubblico: sia esso scuola, tribunale, teatro, caserma… Se fosse soltanto il segno dei tempi (e magari della crisi), in fondo sarebbe il meno. Invece, da Sud a Nord, senza distinzione, la bandiera viene non tanto offesa da una volontà iconoclasta (ricordate cosa voleva farne Bossi all’apice del suo fervore padano?), ma abbandonata al suo destino dall’incuria, dalla strafottenza, dall’indifferenza, le stesse che lasciano andare a rotoli i monumenti e il patrimonio culturale in cui dovrebbe riconoscersi una comunità che abbia memoria e consapevolezza di sé e della propria storia. Come se il loro malinconico destino non fosse il nostro stesso destino. Non simbolico ma molto reale.

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