Lo abbiamo conosciuto in una calda sera d’estate, mentre passeggiavamo vicino al porto e, anche se poi non lo abbiamo né più visto né più incontrato, ci ritroviamo spesso a parlare di lui quasi come avessimo conosciuto un angelo…
Mohamed, un senegalese di venticinque anni, era seduto su un muretto vicino al mare; aveva alcuni libri in mano e altri in uno zaino affianco.
Io e le mie due più care amiche, Giada e Manuela, stavamo chiacchierando e giocherellando allegramente, mentre camminavamo nei pressi del porto quando sentimmo un rumore tonfo e un ragazzo che urlava: “Ben ti sta! Tu e tutti i tuoi amici ve ne dovete andare! Non c’è posto anche per voi!”
Eravamo troppo vicine per rimanere indifferenti. Un ragazzo italiano, all’incirca della nostra età, aveva rovesciato tutti i libri che il senegalese aveva ordinato sul muretto e lo stava aggredendo verbalmente.
Quest’ultimo rispose alla provocazione rimanendo calmo e, senza abbassare mai lo sguardo, rispose con freddezza: “Non ho rubato il posto di nessuno e sono qui per guadagnarmi il pane ed è molto più dignitoso di quello che pensate di fare voi comportandovi così!”
A quel punto uno degli altri due bulli razzisti con cui si accompagnava il ragazzo italiano cominciò a insultare il ragazzo senegalese più pesantemente. Noi tre restammo a guardare impassibili la scena, non potendo deviare, fino a quando m’intromisi io. Senza preavviso. Il cuore mi batteva a tremila, ma sono sempre stata impulsiva e soprattutto dalla parte dei più deboli, per cui, non potendo tollerare che nel duemila e tredici si dovesse assistere ancora a delle scene così preoccupanti da parte di ragazzi appena diciottenni, sorpresi le mie amiche e con due parole bloccai il bullo.
“Scusa!” Dissi con un tono di voce più alto per interrompere l’alterco e farmi ascoltare. I due si voltarono e mi osservarono con l’espressione di chi si fa mille domande in un momento solo. “Volevo solo precisare che siamo in Italia e, grazie al cielo, esiste la libertà di pensiero, parola… ma… non credo che esista la libertà di essere prepotenti, ostili e poco rispettosi del prossimo. Tu… stai offendendo gli italiani facendo così…”
A questo punto le mie amiche cominciarono a strattonarmi e a supplicarmi di tacere, perché temevano la reazione di quei ragazzacci e, anche se ci trovavamo in un luogo frequentato, avevano comunque paura di una reazione impulsiva a nostro discapito. Per nostra fortuna il mio discorso non causò nessun ulteriore nervosismo, ma alleggerì la situazione a tal punto che i ragazzi si guardarono e, scambiandosi una risata ironica, decisero di andare. Ovviamente il leader del gruppo spiegò che non erano state le mie affermazioni a fermarlo, ma il semplice fatto che, al contrario di quello che avessimo potuto pensare, erano dei ragazzi rispettosi del sesso femminile e non gli andava di avere a che fare con delle femminucce blateranti. Fu allora che Mohamed mi ringraziò. Si presentò a noi con un sorriso sgargiante, messo ancora più in evidenza dal colore scuro della pelle.
“Mi dispiace vedere queste cose…” dissi stizzita.
“Eh sì. Lo so. Ma io ci sono abituato, mentre tu sei una ragazza… forse più giovane di me e… hai rischiato. Per questo ti sono riconoscente. Lo so che voi italiani non siete tutti come quelli là. Per favore accettate questi libri in segno di amicizia”. Tutte in coro cominciammo a dire “Non devi… grazie”. Così Mohamed ci disse con fare serio che dovevamo accettare quei libri, perché vedeva in noi delle ragazze sensibili ed intelligenti che avrebbero letto quelle storie e le avrebbero raccontate ad altri come testimonianza.
In meno di dieci minuti ci fece capire chi era, cosa vendeva e perché lo faceva. Io riporto in maniera sintetica e in forma italiana corretta le sue parole che mi sono rimaste scalfite nella mente e che possono far riflettere tutti coloro i quali, come quei ragazzacci, pensano e dicono ancora parlando degli immigrati: “Cosa sono venuti a fare questi qui…”
“Mi chiamo Mohamed, ho venticinque anni e vengo dal Senegal. Sono venuto in Italia pieno di speranze e di sogni assieme ai miei più cari amici. Non voglio spaventarvi, ma io posso dire di avere visto più volte in faccia la morte. Ho viaggiato su una imbarcazione di fortuna mezza scassata per ore ed ore con poco cibo e acqua, appiccicato come una sardina ad altra gente che non conoscevo. Non so se potete capire o immaginare cosa si prova: ti manca l’aria, ma non ti puoi muovere, provi a chiudere gli occhi e a pensare di essere tornato bambino ed essere cullato dalle braccia di tua madre, ma non puoi. Accanto a te hai della gente. Gente viva che esprime in tutti i modi le sue ansie e i suoi bisogni primari e poi… ci sono i bambini… piccole creature indifese che seguono le speranze dei propri genitori e gridano, piangono, vogliono muoversi. La mia… la nostra imbarcazione è… affondata per un guasto al motore. C’è stato un incendio. Non ricordo bene… tutto è confuso: fumo, urla, pianti, braccia che cercavano un appiglio… Terribile. Raccontarlo è niente. Il dolore… il trauma… resta. I miei amici sono morti. Io e circa altri cento di quei trecento che eravamo su quell’imbarcazione siamo salvi. Un miracolo? O un altrettanto destino crudele? La mia vita è segnata. È una storia triste, lo so. Ma io volevo solo farvi capire che non vendo come i miei amici oggetti o teli da mare, ma penso di vendere qualcosa che molti non hanno più e che voi italiani state lentamente perdendo: i sogni. In questi libri, scritti da i miei amici che non ci sono più, non ci sono semplici racconti , ma c’è molto di più. Leggerli attentamente può far riflettere voi italiani e tutti gli altri stranieri. Le ambizioni, i desideri, la voglia di riscattarsi con forza, coraggio e determinazione sono come delle barche alla deriva nella nostra mente imperniata ‘dal tutto e subito’ della società del benessere. I miei amici, io e tutti gli stranieri possiamo aver un colore diverso della pelle, un’altra religione o lingua, ma siamo persone. Persone che hanno sentimenti, che hanno tanto da dire e da dare. I miei amici erano bravi. I miei amici scrivevano per passione con il solo obiettivo che le loro storie potessero essere un toccasana per la gente. Per questo vi chiedo di accettare i miei libri. Questa è la sola maniera per sentire ancora vicini i miei amici! Vi ringrazio per il gesto che avete fatto e per aver ascoltato un mercante di sogni…
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