La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud

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E. De Martino

Il Tarantismo, secondo lo storico delle religioni Ernesto De Martino, si colloca nel Medioevo ed in particolare nell’urto tra mondo islamico e mondo cristiano. Esso emerge nel Trecento con la “Letteratura De Venenis” che è un trattato compilato tra il 1424-26 dal pesarese Sante De Ardoynis, in cui si fa riferimento agli effetti del veleno della taranta.

La Puglia è vista da De Martino come “Terra del rimorso”, ovvero terra nella quale chi aveva ricevuto il morso della taranta la prima volta lo avvertiva l’anno dopo in modo calendarile.

I tarantati di tutta la regione si recavano a Galatina per guarire, in particolare nella cappella di S. Paolo. Il Santo infatti era giunto a Galatina e riconoscente dell’ospitalità ricevuta da un cittadino – in via Garibaldi n.7 –  diede a lui ed ai suoi discendenti il potere di sanare dal morso dei ragni velenosi con un segno della croce sulla ferita e con l’assunzione d’acqua dal pozzo di casa.  Secondo alcuni studiosi come il Ponzetti, il veleno della taranta si insinuava nella cute e attraverso i nervi veniva addotto al cervello facendo impedimento e costringendo la vittima a perdurare nello stato in cui versava al momento del  morso. Il canto e  la danza erano le attività a cui i contadini si abbandonavano per trarre ristoro dalle loro fatiche, ecco perchè secondo il Ponzetti i più colpiti erano i contadini ed ecco perché si parla di esorcismo musicale danzato. I pellegrinaggi a Galatina vedevano partecipi molte donne che erano impegnate nella  raccolta del grano e che erano portate nella casa del Santo il 29 Giugno –giorno della ricorrenza di S. Paolo- qui le vittime del veleno lo ringraziavano per l’avvenuta guarigione oppure lo supplicavano di liberarle. La protezione del Santo su Galatina fece sì che la città divenisse “feudo sacro” e conservasse la sua immunità territoriale. Dopo l’estinzione della discendenza del cittadino galatinese che aveva ricevuto il potere risanatore, il dotto agiografo, teologo e predicatore Antonio Arcudi narrò della storia delle “Bellevicine” nel 1731, dalle quali afferma di “essere stato quasi educato da bambinello” . Francesca e Polissena Farina abitavano vicino la piazza S.Pietro della città e stando al dotto erano le discendenti in linea diretta delle donne gratificate dal santo a cui era stato donato lo sputo medicinale che era “dote per linea di donne a posteri tramandate”. Dopo morte di Francesca avvenuta il 7 maggio 1699, la sorella sopravvissuta prima di morire in data 11 Luglio 1706, sputò nel pozzo di casa trasmettendo il suo potere medicinale all’acqua del pozzo poiché non vi erano loro discendenti. Lo sputo umano in funzione medicinale emerge per la prima volta in Plinio il Vecchio (23 d.C.-79 d.C.) nella “Naturalis Historia” (XI, 30,1; XI, 31,1; XXIX, 28, 12). Molti anni dopo la morte delle sorelle, la tradizione di bere l’acqua dal pozzo per poi sputare il veleno del ragno continuò e solo il 7 Giugno 1959 l’autorità sanitaria di Galatina, avendo ritenuto l’acqua inquinata, emise l’ordinanza di murare il pozzo. 

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