Se di etica si parla, l’editoria salentina ne esce a pezzi

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L’Editoriale

EditoriaScrivere queste righe non è semplice. Sono frutto di giorni di meditazione perché, compito del giornalista è liberare la mente dalle emozioni prima di scrivere. Quando l’argomento ti tocca così da vicino, poi, mantenere l’obiettività è difficile.

Farò appello alle mie competenze, anche rispolverate per l’occasione, per cercare di “dire la mia” in modo pulito, senza offendere nessuno, facendo un’analisi dei fatti.

Ogni volta che abbiamo condiviso con voi la nostra linea editoriale, abbiamo sempre evidenziato l’aspetto sociale che il nostro web giornale vuole prefissarsi. Con i fatti stiamo, passo dopo passo, cercando di compiere questa nostra missione e, la rassegna “Mi racconti un libro?” ne è la prova. Siamo uno strumento web che vuole “liberare” la persone dalla solitudine dello schermo, permettendo occasioni di incontro – confronto reale.

Quando con l’editore e tutta la redazione abbiamo iniziato questo viaggio, sentivo sulla mia pelle ancora le scottature che la “maledettissima passionaccia” di scrivere mi aveva lasciato. Il giornalista non è un mestiere, non lo si fa, giornalisti si è. Il grande Montanelli in un’intervista disse che lo avrebbe fatto anche gratis; lungimirante o forse le cose erano così già da allora.

Il giornalista è ovunque: sul luogo di un brutale incidente, nei Paesi colpiti dalla guerra, è presente ad uno sciopero sindacale, ad una rivolta improvvisata, è presente ai congressi e spesso è l’ombra dei politici ma, qualche volta, è esso stesso per se stesso un’ombra. Anni fa, agli “esordi” di questo mestiere, quando iniziavo a masticare il buono e il cattivo che c’è, un collega mi disse: “E di noi chi parla?”. Così iniziai ad accorgermi di quanto ridicoli fossero i nostri scioperi, del tutto silenziosi: un cronista visto quasi mai che durante il Tg annunciava la “brevità” del tutto a causa di un non meglio definito sciopero.

Ma partiamo da un altro assunto: il giornalismo è un mestiere appassionante certo, non diversamente da quello del medico, dell’insegnante, o del vivaista. Ogni lavoro è frutto della passione di chi lo fa ma, non per questo, non merita di essere disciplinato e retribuito a dovere.

Un dato di fatto: ogni azienda degna del proprio nome dovrebbe attenersi ad un codice etico (che non è nulla di aleatorio ma un concetto ben definito e scritto) basato sulla Corporate social responsibility (Csr), o responsabilità sociale d’impresa. (Fonte: http://www.europarlamento24.eu/le-cose-da-sapere-sulla-responsabilita-sociale-d-impresa/0,1254,72_ART_439,00.html)

Per responsabilità sociale d’impresa si intende l’integrazione di preoccupazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività. L’Unione Europea definiva la Responsabilità Sociale d’Impresa come una azione volontaria, ovvero come: integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Con la nuova comunicazione del 25 ottobre 2011 (n. 681), la Commissione Europea, dopo dieci anni, riesamina e supera la nozione espressa nel precedente Libro Verde e offre una nuova definizione di CSR: “The responsibility of enterprises for their impacts on society”

Questo nuovo modo di affrontare, in maniera socialmente responsabile, le principali problematiche di carattere sociale e ambientale si inserisce in un più ampio contesto che coinvolge i momenti delle principali organizzazioni internazionali come il Global Compact delle Nazioni Unite, le linee guida dell’Organizzazione per la Cooperazione e sviluppo economico alle quali l’Europa si adegua.

Questo concetto porta le imprese ad andare oltre i semplici aspetti giuridici e le normative da rispettare. È un impegno costante e continuo a investire in capitale umano, ambiente e rapporti con gli attori interessati.
Molte imprese, infatti, promuovono il concetto presso i loro dipendenti affinché non sia solo un comportamento circoscritto all’ambiente aziendale, ma sia anche uno stile di vita da diffondere.

Magari non tutti sono a conoscenza dell’occasione che è stata data alle aziende di aderire a tale progetto, non molti sanno che le aziende hanno l’occasione (e purtroppo anche la libertà) di redigere, accanto ai soliti indecifrabili bilanci consuntivi, di fine anno etc etc, il BILANCIO SOCIALE, voglio scriverlo in maiuscolo! Una relazione dettagliata e comprovata del loro impegno, aldilà dell’obbligo legale, del rispetto di determinate regole e responsabilità che tutti abbiamo verso: l’ambiente, il rispetto delle persone che siano esse dipendenti o capi e, non ultimo, verso i consumatori. Assumersi la responsabilità di dire: “Mio caro consumatore, io Azienda X ti offro questo prodotto, sappi che per offrirtelo non ho inquinato, non ho usato sostanze nocive, ho rispettato tutte le persone che hanno concorso alla realizzazione del prodotto e, soprattutto ho rispettato te”

Le conseguenze: da questa visione noi salentini siamo lontani anni luce. Anche l’articolo di un giornale, un servizio tg sono un prodotto la cui realizzazione, è costato impegno economico e umano. L’editoria salentina è lontana da ciò e non fa mai un passo verso quella direzione. Inconsapevolmente (o peggio consapevolmente), fruiamo di un prodotto non eticamente accettabile. Una storia che si ripete da anni e che solo nei giorni scorsi è tornata alle cronache (forse).

Ma oltre a sentire l’amaro in bocca e fare spallucce, possiamo fare di più. Così come un consumatore sceglie di acquistare il pane, la pasta, piuttosto che la merendina che hanno rispettato tali principi etici del Libro Verde, che hanno aderito al CSR redigendo e pubblicando sugli appositi siti il proprio BILANCIO SOCIALE, allo stesso modo possono relazionarsi ai mezzi di comunicazione e informazione.

La conclusione: come nella premessa, ribadisco che nessuno vuole puntare il dito contro nessuno, tantomeno è il caso di fare i moralisti perché di moda. Da brava giornalista ho cercato di riportare i fatti andando, magari, un tantino oltre. Con umiltà ho cercato di porre spunti di riflessione e, in conclusione, una sfida: quanti imprenditori salentini (non solo editori a questo punto) sarebbero in grado di aderire a tale progetto?

Io spero in molti. Ai lettori invece faccio un invito: non alimentiamo mai un sistema che disprezziamo, un po’ come è per il voto, sembrerà “inutile” ma è l’unico strumento che abbiamo per liberarci dagli opportunismi.

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