Va in scena – Shining (1980)

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Shining è da considerarsi probabilmente uno dei film cult che maggiormente ha lasciato il segno nelle menti di tanti spettatori e appassionati di cinema. La presenza di Jack Nicolson è già un elemento importantissimo della pellicola che si fa portatrice di temi quali la follia, lo squilibrio mentale, il disagio, i traumi dell’infanzia.

Essa infatti non sarebbe stata la stessa senza l’attore pluripremiato che nei panni di Jack Torrence si fa interprete di un uomo, padre di famiglia, che disoccupato, prende la decisione di trasferirsi per tutto l’inverno nel terribile Overlook Hotel, sperduto tra le montagne del Colorado, insieme alla moglie e al figlio Danny. Il protagonista dovrà scrivere il suo libro durante la stagione invernale e far fronte alle dipendenze di alcolismo e non solo. Problemi che non di rado lo porteranno a far vacillare la sua salute mentale. Un bambino che ha allucinazioni, una moglie traumatizzata dall’ambiente spettrale, un marito sempre più inquietante, un hotel misterioso fanno da sfondo a un film terrificante, drammatico e sorprendente allo stesso tempo.

Shelley Duvall, Jack Nicholson e Danny Lloyd sono stati gli splendidi interpreti che hanno contribuito a portare la pellicola al secondo posto tra i migliori film horror della storia del cinema. E non per ultimo Stanley Kubrik, un cineasta, regista immortale, che tuttavia non ha mai vinto un premio Oscar, se non per effetti speciali o altri di tipo “tecnico”, e che spesso è stato mira di apprezzamenti, ma soprattutto critiche.

“Shining” rimarrà per sempre un film terrificante e non solo per gli spettatori. La stessa Shelley Duvall affermò:“Ho ancora gli incubi se penso a Shining”. Sembrerebbe infatti che la donna sia uscita molto traumatizzata dai mesi di riprese del film che andarono da maggio 1978 fino all’aprile 1979, e che le provocarono un forte stress e la perdita parziale di capelli. I corridoi e le pareti dipinte di rosso e di nero a ricordare i colori del passato non tanto felice e assai drammatico di un hotel, a evocare angoscia, fanno da sfondo alle vicende di una famiglia che alla fine si può definire sfortunata; e in particolare accompagnano la scena principale delle passeggiate di un bambino troppo solo e troppo piccolo per essere chiuso in un hotel isolato e vuoto.

“Shining” – la luccicanza – rappresenta proprio le allucinazioni che tormentano un bambino innocente, Danny. Angoscia, paura, lacrime vere su un set troppo stressante contribuirono a creare un’atmosfera che nel film emerge tutta, col suo carico di emozione, seppur negativa. Furono centinaia le volte in cui diverse scene vennero girate e un esempio è quello di Wendy, interpretata da Shelley Duvall, in cui piange e cerca di sfuggire al marito ormai instabile e pericoloso, mostrandosi fragile e realmente scossa, tant’è che furono lacrime vere di disperazione a scendere dal suo volto. Un film agghiacciante che, non può non tenere vigile chi lo guarda, e che si avvia in una narrazione scenica mai banale e sempre accattivante.