I “funerali di dignita’” e il salario minimo

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Fu un giorno infinito, il tempo sembrò essere andato in ferie e partito verso l’eternità. Le campane suonavano forte a morto, anche gli uccelli smisero di volare e il sole di splendere; le nuvole, gonfie di pioggia, trattennero le lacrime per non rovinare il corteo, erano così nere e gonfie che il giorno divenne notte, le luci del paese furono accese eccezionalmente per l’occasione. Il vento decise di scioperare, tanto che le foglie degli alberi sembravano fotografie sbiadite, non si muoveva nulla, il regno animale smise di far festa con la propria musica. Il feretro uscì dalla chiesa, in questo maestoso silenzio, sorretto dal senso di colpa dalla nostalgia, dalla speranza e dal perdono. Quando tutti videro la lignea bara della dignità, si levarono il cappello e fecero un inchino, cantando un inno scritto per l’occasione da passione, un inno in cui sorpresa iniziò a decantare in maniera ridondante quello che dignità aveva fatto in vita. Paura, disgusto e invidia, osservavano quel canto con occhi spalancati, cercando di sminuire il tutto tra le folle; erano indignati davanti a cotanta partecipazione e lacrime, non si spiegavano il motivo per il quale erano tutti lì, a pregare il feretro di un semplice essere sporcato dalla morte. Un essere che in vita aveva dato tanto a tutta l’umanità.

Un uomo in lontananza osserva in silenzio, abbandonandosi all’infelicità di vedere l’ultima goccia di quella dignità che con una lacrima solca il suo viso, quell’ultima goccia che muore giù per le labbra; quell’ultima lacrima di dignità che resta dell’uomo. La nostra politica, la nostra società, sono i veri colpevoli di questo sporco omicidio che crea solchi sempre più profondi nell’animo di chi non ha più che vivere, in tutte quelle persone che hanno visto morire la dignità davanti ai propri occhi a causa di una semplice legge abrogata, un comando di un uomo (potente) verso un altro uomo, lasciando così nelle mani di incompetenti, la decisione della vita altrui, uccidendo spesso quella dignità data da Dio al popolo.

Questo funerale non finirà finché purtroppo, tutte le genti del mondo, continueranno ad avvelenarsi con quella povertà imposta da chi ha assassinato la propria di dignità, nascondendola dietro all’inganno di un falso sorriso. Questo corteo funebre, continuerà finché il potere mangerà pezzettino dopo pezzettino, l’ultimo briciolo di dignità rimasta all’uomo. Il lavoro è un diritto di tutto il popolo, che a sua volta non deve farsi sfruttare con paghe ridicole e poco dignitose; questo è il problema di questa insulsa società, in quanto quello che poi viene riferito dai TG e da varie testate giornalistiche, sarà che la gente non vuol lavorare perché percepisce il Reddito di Cittadinanza e non perché le paghe offerte da tutti questi cialtroni sono ridicole, un insulto a quella dignità rinchiusa lì, in quella bara trasportata dal corteo. L’unica arma da sfoderare, in nostro possesso ad oggi è il salario minimo, arma che potrà ridare quella dignità a tutti coloro a cui è stata tolta, in modo da poter sperare, un giorno, che quel triste funerale, si tramuti in una gioiosa festa dove ogni essere umano possa riprendersi la propria felicità.

Classe ‘86, vive a Squinzano, piccolo paese della provincia di Lecce. Fin da adolescente manifesta una forte passione per la scrittura, percepita come insostituibile mezzo di espressione personale e di comunicazione diretta al cuore delle persone. Appassionato di arte, storia ed archeologia, cresce nel quartiere di Sant’Elia, luogo ancora ricco di mistero, dove conduce ricerche e studi su un convento del 1500, effettuando numerose e importanti scoperte archeologiche che gettano nuova luce sul complesso monastico. Scrive su diversi blog e giornali come “Salento Vivo”, “Spazio Aperto Salento”, “L’ORticA”, “Il Trepuzzino”. È in procinto di pubblicare la sua prima raccolta di scritti con Aletti Editore.

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