Dopo la seconda guerra mondiale, le economie delle province del Grande Salento presero strade diverse sino a costituire universi a se stanti, senza alcuna connessione. Dopo più di sessant’anni di storia e di lavoro, oggi queste trovano ancora pochi punti di collegamento, al fine di alimentare un circuito interconnesso virtuoso e autopropulsivo. Ed in effetti, i mercati delle tre province sono insufficienti per fare decollare attività che dal mercato locale si possano poi proiettare sul mercato nazionale o internazionale, a parte, come vedremo, per alcuni tratti, il caso leccese.
Questo, infatti, è molto più in avanti in termini di sviluppo equilibrato, rispetto alle altre due, dove molti soprattutto dell’industria dopo essersi consolidati sul mercato locale, hanno mosso passi significativi verso scenari regionali, nazionali ed anche oltre.
Non così per le province di Brindisi e Taranto, dove le rispettive industrie sono collegate esclusivamente ai grandi mercati. E questo, se da un lato garantisce di che vivere alla popolazione, dall’altro si presenta come un forte elemento di instabilità. E ciò al contrario del caso leccese, soprattutto nell’ultimo quindicennio dove la provincia si è affrancata da simili dinamiche, senza inficiare i suoi dati reddituali, che si presentano tra i migliori delle tre province, dove il fanalino di coda è rappresentato dalla provincia di Brindisi.
Sicuramente, tre economie importanti quelle delle province del Grande Salento, dove però quella leccese mostra un potenziale di non poco conto e rilievo. Basti considerare che mentre il reddito procapite è pari quasi a quello di Taranto (quello della provincia di Brindisi è più basso), il tasso di disoccupazione della provincia di Lecce è vicino al 22%, mentre quello tarantino è intorno al 15% e quello brindisino è circa il 17%.
Si deduce che la produttività leccese è di gran lunga superiore a quella delle altre province del Grande Salento. Non a caso, nel 2014, la città di Lecce si connota come una delle città più ricche di Puglia assieme a Bari.
Certamente, sotto altro profilo, v’è da dire che il leccese soffre di sovrappopolazione, registrando una densità di abitanti per Kmq pari a 286 contro i 213 di Brindisi e i 236 di Taranto.
Qui, dunque, in prima battuta va detto che sarebbe auspicabile un’integrazione economica dell’ex Terra d’Otranto in direzione dell’esempio leccese, dove forse la vivacità imprenditoriale, in un quadro di pigrizia, mostra una maggiore vivacità, rispetto al caso delle province di Brindisi e Taranto, dove i grandi poli industriali di origine non autoctona, generano l’indotto e permeano la loro economia, rendendola possibile, ma non stabile e centrata sulle reali forze locali.
In definitiva, l’economia leccese, rispetto a quella tarantina e brindisina, ha mostrato una maggiore consapevolezza delle sue possibilità, muovendosi in maniera autonoma, dove invece negli altri casi ci si è aspettato l’intervento esterno senza mettere in moto le proprie risorse creative ed intuitive. Certamente, la provincia leccese ha risentito meno dell’intervento statale, che se da un lato ha dato lavoro, dall’altro ha creato economie deboli e non centrate sulle volontà locali.
Tutto ciò, ha implicato un ritardo nelle principali forze economiche di gran parte del Grande Salento, un tempo area tra le più internazionalizzate e dinamiche del Paese, che si auspica trovino la forza di ricongiungersi nel canale leccese, che si presenta il più evoluto, il più focalizzato sulle proprie risorse e sulla propria inventiva, in un contesto di maggiore autonomia.