Musica e poesia nel pianismo di Mikhail Pletnev

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Sabato 10 dicembre (ore 16:00), presso il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino (Sala Zubin Metha), per la stagione 2022/23 degli Amici della Musica si è tenuto un concerto che farà parlare di sé per molto tempo. Solista d’eccezione il pianista russo Mikhail Pletnev, vincitore nel 1978 del Concorso Internazionale Čajkovskij, conosciuto anche come direttore d’orchestra e compositore.

Questo il programma:

  1. Brahms: Rapsodia n. 1 in si minore, op. 79
  2. Dvořák: Minuetto in la bemolle maggiore, op. 28 n. 1; da Sei Pezzi, op. 52 (n. 4, Egloga/n.5 Allegro molto/ n.6, Tempo di marcia)
  3. Brahms, Intermezzo in mi bemolle maggiore, op.118 n. 6
  4. Dvořák, da Humoresques, op. 101 nn. 7, 6, 4; Humoresque in fa diesis maggiore, B. 138; Egloga in sol maggiore B. 103: n. 3
  5. Brahms, 3 Intermezzi, op. 117 (Andante moderato/ Andante non troppo e con molta espressione/ Andante con moto)
  6. Dvořák, Egloga in mi maggiore, B.103 n.4; Moderato in la maggiore, B.116
  7. Brahms, Ballata in sol minore, op.118 n.3
  8. Dvořák, dai Quadri Poetici, op. 85: n. 3 (Nel vecchio castello); n. 6 (Ricordo doloroso); n. 9 (Serenata); n. 10 (Baccanale); n.11 (Pettegolezzi); n. 12 (Sulla tomba dell’eroe); n. 13 (Sulla montagna santa)

In sala, a parte il solito pubblico dei concerti, c’erano giovani, musicisti, ma anche tanti stranieri. L’atmosfera che si percepiva lasciava presagire un grande evento con molte aspettative da parte dei presenti. Corre l’obbligo segnalare che con un musicista di tale levatura e poliedricità è difficile non immaginare un programma con un messaggio (forse enigmatico) ben preciso, quasi di ispirazione bachiana (Quaerendo invenietis).

L’esclusiva presenza, ‘in alternatim’, di musiche di Brahms e Dvořák non è stata casuale se pensiamo alla solida amicizia tra i due compositori, nata in occasione del conseguimento di quest’ultimo di una borsa di studio quando aveva 31 anni, conferitagli da una giuria tra i cui membri c’erano Brahms e Hanslick, ferreo sostenitore della musica ‘pura’.

Ecco allora che, soprattutto in questo momento così difficile, il concerto di Pletnev può intendersi come un inno all’amicizia e alla pace tra i popoli tanto che la stessa musica diventa antidoto alla guerra. Mi piace immaginare il musicista russo come un personaggio simile a Diogene che con la sua lanterna (pianoforte) è alla ricerca, riprendendo le parole del principe Myškin da L’idiota di Dostoevskij, di quella bellezza che salverà il mondo.

Riguardo al programma eseguito, colpisce sicuramente la presenza di brani vibranti, che possiamo paragonare a dei tableaux vivants o alle interferenze letterarie sulla musica che a breve porteranno ai cosiddetti aforismi musicali della Seconda Scuola di Vienna.

Se le composizioni di Dvořák possono sembrare apparentemente più semplici, nell’interpretazione di Pletnev diventano proustianamente emozioni pure che trovano delle correspondances nel dialogo con quelle brahmsiane tanto che ogni singola composizione del programma risultava un autentico assolo dell’anima.

Il concerto è stato un raffinato esempio di pianismo di fine XIX secolo, anzi, un microcosmo che appartiene al Romanticismo ove, escludendo più in particolare la forma sonata, convivono strutture diverse accanto a composizioni dal carattere più intimo e riflessivo come la Rapsodia, i due Intermezzi e la Ballata cogliendo, più in particolare in Dvořák, autentici bagliori che rimandano a Chopin o a Liszt fino, anche grazie ad un uso calibrato del pedale, ad approdare a Debussy.

Un altro merito da attribuire a Pletnev è sicuramente quello di inserire brani di Dvořák generalmente assenti nei programmi dei concerti e che per molti sono state delle ‘novità’. I titoli dei Quadri poetici eseguiti strizzano l’occhio a Brahms ma sembrano non sfuggire a quel genere di musica a programma di lisztiana memoria, pur preferendo rimanere nell’alveo dell’intimità e dell’indefinito, portandosi dentro tutto ciò che può essere circoscritto al mondo poetico.

Nel linguaggio del musicista boemo si potevano percepire anche influenze armoniche e formali della musica tedesca così come stilemi della musica tradizionale cèca o qualche fugace allusione alla Sinfonia n.9 in mi minore «Dal Nuovo Mondo» op. 95.

Il concerto è stato un caleidoscopio di emozioni che ha toccato le corde più sensibili del pubblico il quale ha risposto con calorosi applausi; non poteva essere altrimenti se si considera il modo di ‘dialogare’ del musicista con il pianoforte. Non di rado si poteva percepire una maggior espressività del melos attraverso il coinvolgimento della sua voce o cogliere un piccolo movimento delle mani ove l’impulso minuscolo e preciso (gesto direttoriale) riusciva a delineare esattamente il momento della fine del riverbero del suono, sprofondando in un dolce silenzio.

Inoltre si percepiva l’assenza della realtà esterna a favore di una ricchezza timbrica e di tante sfumature di colore solo grazie al tocco della tastiera e al sapiente uso dei pedali.

Concluso il programma, l’incantesimo sonoro è continuato con due fuori programma grazie ai quali il musicista ha confermato la sua cifra interpretativa sempre più ricercata e ricca di emozioni. Solo per il primo brano valeva la pena essere presenti.

Pletnev ha proposto il celeberrimo Notturno op. 9 n. 2 in mi bemolle maggiore di Chopin con un’espressività talmente comunicativa, assai rara in altri grandi interpreti. Sia per chiarezza formale, fraseggio e per la sognante cantabilità a volte il musicista è riuscito a far trattenere il respiro.

A suggellare lo splendido pomeriggio un inedito Glinka: ritorno alla musica russa ma anche ‘omaggio’ all’Italia se consideriamo l’interesse del compositore per il belcanto.

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