“Generazioni di scritture” …

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Generazioni di scritture

“Generazioni di scritture” è il titolo della rivista culturale diretta da Carlo Alberto Augieri. Generazioni appunto di questo secondo millennio condiviso da parole che si tramutano in scrittura.

Dal medesimo titolo si snodano riflessioni e interrogativi del tipo: «A qual categoria di generazione apparteniamo? A quella riguardante un pensiero debole, demonizzata, criticata e criticabile,  alla quale è affidato l’onere di sopravvivere?».

Ecco sì. Si tratta oggigiorno di affrontare la vita, complicata da tutto ciò che è conseguito dal progresso tecnologico e dall’abuso della tecnica. Già a partire dal Novecento, Ortega, Spengler, Simmel  hanno criticato duramente un uso calcolante della ragione che ha comportato una spersonalizzazione dell’individuo. È stata definita un’epoca in crisi, dovuta ad un uso spregiudicato del denaro, considerato il simbolo delle relazioni umane, accanto all’abuso della ragione calcolante. Queste le critiche mosse dai maggiori filosofi moderni e contemporanei, oltre al trionfo della borghesia, dei fasti e degli sprechi della gente che viveva nel benessere.

E, ora, dunque? Siamo ancora alienati, dominati dal dio denaro, o siamo in preda ad altre problematiche, a volte più labirintiche che mai?

Innanzitutto, si tratta di una generazione che ama la scrittura. Si sciorinano parole come se fossero delle pillole da prendere, a volte si rischia l’assuefazione, di tanto in tanto il parlare, anche quello imprigionato sulla carta, appare vacuo, oppure troppo insidioso, o incantevole, tale da farci immergere in un altro mondo, come quello onirico.

Certamente sarebbe magnifico sognare, guardare con gli occhi disincantati di un poeta e poi scrivere, scrivere, lasciando viaggiare l’immaginazione. Non so se oggi si immagina ancora, se è consentita la libertà di sognare, ma è chiaro che ciò è opportuno e spesso vitale.

Molti i poeti, numerosi gli scrittori che si cimentano in imprese folli, criticabili ma non criticanti. E,  dunque, nessuno critica. Molti aderiscono al pensiero di chi li governa, altri soggiacciono al potere. Verrebbe da pensare, al contrario, che i critici letterari della nuova generazione non sono più quelli di un tempo passato, perché la materia da criticare è differente, o forse perché non all’altezza di paragonarsi ai titani Magrelli, Bertolucci, Cucchi, Luzi. O, ancora,  perché si legge poco e si scrive troppo?

Chissà!  Oggigiorno si vive in modo percettibile la massificazione della cultura, della scrittura, di ogni attività artistica,  che per molti è diventata più un diletto che una vera e propria professione; ecco perché la qualità fatica ad emergere. Forse gli intellettuali, i professori,  le eccellenze, un po’ come si faceva un tempo (penso a Eugenio Montale, Sandro Penna, Elio Pecora, e tanti altri), sono stati designati e portati avanti proprio da chi possedeva competenze e facoltà; oggi, invece, si è soli, sovrannumero in tutto, e, a volte, non si designano i migliori, o i meritevoli, parola abusata, ma spesso coloro che appartengono a caste, eredità familiari, ecc…   

Attualmente, ogni aspetto della società moderna sembra tristemente peggiorato. C’è ricchezza da un lato, dall’altro urla di dolore e smarrimento. E allora non resta che pensare alle parole di Italo Calvino: bisognerebbe vivere con leggerezza; planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.

La generazione contemporanea dovrebbe essere pertanto una generazione leggera, disincantata, e soprattutto innamorata, perché è l’amore che conduce a scritture meravigliose, fa compiere voli pindarici, viaggiare, solo e soltanto con l’ausilio di mente e cuore. Si parla spesso di amore, ma ce n’è troppo poco, sommerso da crudeltà e miserie. Mentre, liberando il cuore dai macigni, si riuscirebbe certamente a vivere meglio, a creare, a generare e a generarsi, come quando si fanno passeggiate solitarie sulla battigia tra le onde del mare e i raggi del sole.

Generazioni di scritture, dunque, generazioni di vita: questa è la fiducia necessaria da porre, per poter dar adito a nuovi talenti, ai geni folli, come quelli che hanno lasciato un’eredità straordinaria e inconfondibile alle generazioni del secondo millennio. Così come l’ironia, la forza e la determinazione del proprio sé salveranno da ogni circostanza drammatica, nella quale la tragedia condurrà ad un lieto fine.

Chissà. Crediamoci.

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