Girasole

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“Non va per niente bene” disse lei, torturandosi le unghie, i capelli, i brufoli e tutto ciò che aveva addosso e intorno.

“Mi sta succedendo una cosa assurda. Non ci credo, non ci crederai. Nessuno mi può aiutare. O forse mi potrai aiutare tu. A farla finita”.

Dalla finestra aperta il vento leggero e tiepido di giugno entrava nella stanza pietrificata, spostando le tende che profumavano di casa. E le voci allegre e stridule dei bambini che in strada  lottavano per un pallone.

No, aspetta, fammi capire.

Perché? Perché una vita serena di colpo precipita in un burrone sconosciuto e terrorizzante e toglie l’aria ai sogni, ai bisogni, al futuro, a me, a te?

Note stonate di strumenti rotti.
Confusione. Silenzi.
Lei era bellissima anche mentre faceva proclami di morte.
Lo era sempre stata. Bella e solare. Una di quelle creature che tu le vedi e non trovi difetti, le guardi e incontri la luce. Una di quelle persone, rarissime, che inconsapevolmente ti regalano il buonumore e la gioia.

Aveva una risata contagiosa, era allegra e positiva. Non c’era nessuno che la trovasse antipatica.
Era piena d’amore per tutti e amore riceveva da tutti.
Esempio raro di riflesso perfetto.

Sua madre mi raccontava che quando entrò nella prima aula della sua vita da scolara era in ritardo. Gli altri bimbi erano già seduti composti, alcuni trattenevano il pianto per la paura della nuova esperienza, altri erano comunque timorosi e chiusi. Lei entrò sicura, con le sue trecce bionde e il suo grembiule inamidato, sorrise e salutò la maestra, poi i compagni, infine la mamma. Andò al suo posto e attese felice l’inizio delle lezioni.

In quella stanza scura di un giorno d’ottobre entrò la luce. Una luce di soli sei anni.

Così raccontava orgogliosa sua madre.

Da quel giorno i suoi compagni la battezzarono Girasole. Un fiore. Un dono.

E dono era stata per me, sempre. Ero una ragazzina in cerca di una traccia, di un senso che andasse al di là del semplice quotidiano di periferia in cui vivevo. Una vita limitata in spazi ovvi. E già molte nere conclusioni a certi miei pensieri.

Lei è stata Amicizia.
Amicizia che ti abbraccia, ti ascolta, ti consola e ti perdona.
Che ti prende per mano e ti conduce. Che impara le tue parole, poi legge i tuoi pensieri, scruta i tuoi colori e li definisce. Che ti salva spostando i tuoi passi quando il cammino è impervio o insidioso.

Un dono. Un dono immenso.

Quante stupide risate hanno accompagnato la nostra giovinezza, quanti discorsi pseudo filosofici hanno impegnato le nostre serate, quante lacrime di quello che credevamo fosse amore abbiamo asciugato l’una all’altra. Lei di più, naturalmente.

Perché tra le due, io ero la luna. Lei era il sole.

Abbiamo ballato incoscienti sulle piste sterminate degli anni leggeri. Fumato tante sigarette. Percorso chilometri in cerca di vita. Bevuto qualche bicchiere di troppo. Osteggiato corteggiatori, accarezzato notti insonni, lottato contro gli incubi, asciugato il sudore, diviso il letto, il cibo, i libri, gli abiti, il denaro, i gettoni telefonici, le carezze del mio cane e le fusa dei suoi gatti, il tempo vuoto e quello pieno.

Abbiamo conosciuto insieme le lacrime di piombo dei nostri padri, i rimproveri corrosivi delle nostre madri, lo scavare nell’anima prodotto dai rimpianti, lo schiaffo sempre vivo dei rimorsi. Ma anche le delizie della primavera, nei pomeriggi  in cui l’aria è lieve e giovane, ricca di mille riverberi carichi di promesse.

E ora, il sole, mi diceva che non voleva più vivere. Lo diceva a me che non avevo mai avuto la forza di sorreggere niente e nessuno.
Tacqui mentre scorrevano nel mio cervello mille e mille immagini di noi insieme.
Un nodo alla gola mi impediva di articolare suoni, ma tanto non avevo niente da dire. Non comprendevo ma captavo l’aria delle sensazioni ferali, definitive.

Cosa vuoi dire alla vita che si arrende. A cosa si arrende poi?

Lo capii subito il motivo.
Lo capii quando mi mise tra le mani un foglio.
La guardai come si guarda uno sconosciuto, mentre il vento di giugno diventava tempesta, il sole era calato e i bambini erano saliti nelle loro case. E intorno c’era un silenzio irreale, mentre lei piangeva e io pure, marionetta inutile e rotta.

I burattini non parlano. Tacqui e le voltai le spalle. Mio Dio, il precipizio era lì ma stavolta lei non poteva impedirmi di cadere. Doveva salvare sé stessa, anche se voleva morire. Doveva salvare la sua dignità dall’amicizia di una vita che la lasciava sola.

Non importa che io racconti il contenuto di quel misero foglio di carta. Diceva tutto ma diceva niente.
Inventatevi un buon motivo per non aver più voglia di vivere. Inventatevi un buon motivo per aver voglia di morire.

Il silenzio continuò. Con l’imbarazzo della colpevolezza.
Ma non si dimentichi che lei era un immenso girasole. Portava la vita dentro sé. Capii il mio stordimento. Mi perdonò. Perdonò quei silenzi e quelli che vennero dopo. Perdonò la felicità solitaria in cui mi rintanai e le lacrime che non le asciugai e la solitudine a cui la obbligai.

Mi sembrava di vederla  mentre cercava di scalare la montagna delle difficoltà impreviste e imprevedibili che la vita le aveva presentato, come un conto ignobile e impagabile, che lei invece pagò interamente, da creatura speciale che è sempre stata.

Pagò fino all’ultima goccia di sangue e lo fece da sola.

Aveva perso tutto. Madre, padre, compagno, gatti, casa, lavoro e amica del cuore. Un cimitero di rovine che non si meritava.

Ma non si arrese mai, perché lei aveva il sole in sé.

O  forse non si arrese proprio perché io le voltai le spalle in quel lontano giorno di giugno.

Lei certo mi mise di fronte alla mia miseria. Suo malgrado. E quando estinse il debito tornò e mi sorrise. Mi abbracciò.

Un abbraccio di quelli che solcano il tempo e gli spazi.
Un abbraccio affettuoso, intelligente e complementare.
Perché senza Luna non esiste  Sole.
Senza il giorno non esiste la notte.
Senza la colpa non esiste il perdono.

Le cicatrici sono diventate ricami, abbiamo rimosso il ricordo del dolore da cui pure abbiamo imparato tanto.

Soprattutto  a camminare tenendoci per mano, sempre.

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