“Lustrini”, il testo poetico e commovente di Antonio Tarantino, in scena ai Koreja

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Una panchina, un libro, dei giornali sparsi a terra, un bricco di vino, sacchi di spazzatura. Ecco come si presenta la scena che catapulta il pubblico, nel piccolo mondo di due clochard, Lustrini e Cavagna, nello spettacolo “Lustrini” di Antonio Tarantino, regia di Luca Toracca, scena e costumi di Ferdinando Bruni con Luca Toracca nel ruolo di Lustrini e Ivan Raganato in quello di Cavagna, produzione Teatro dell’Elfo (Teatro Koreja – Lecce – sabato 20 gennaio 2024).

Luca Toracca, regista, socio-fondatore del Teatro dell’Elfo e, in questo spettacolo, anche attore, si cuce addosso il personaggio di Lustrini, un uomo dolce, dai modi gentili e delicati, che ama la poesia e si accontenta dei suoi ricordi, pur anelando ad un cambiamento. Figura che si scontra e confronta con l’amico e compagno di disavventure e povertà, ma anche amore puro e viscerale, Cavagna, al secolo Ivan Raganato, attore di teatro e di cinema, conduttore e direttore artistico di importanti iniziative teatrali come la Compagnia Teatrale “Scena Muta”.

“Lustrini” è un’opera del ’96 del pittore e drammaturgo contemporaneo Antonio Tarantino (1938- 2020) che, dopo la pittura, aveva deciso di raccontare storie, perché come egli stesso diceva: “Cercavo un’altra strada che potesse giustificare la mia esistenza”. I personaggi che descrive sono emarginati e reietti. A farlo conoscere al grande pubblico è uno dei più noti critici teatrali: Franco Quadri, che con la sua casa editrice UBULIBRI, pubblica tre volumi dedicati alle sue opere. Il primo comprende: La passione secondo Giovanni del 1993, Stabat Mater (Interpretato poi da Piera Degli Espositi), Vespro della Beata Vergine del’94 e Lustrini del’96, riassunti nella “Tetralogia delle cure”. Attraverso la sua scrittura sperimenta la commistione di parole scritte in italiano, in dialetto, in lingua straniera, e spazia tra il grottesco, il religioso e il tragico.

In questa specifica rappresentazione, pensata da Toracca, si racchiude il piccolo grande mondo di due amici, ormai al limite della sopravvivenza, quasi un ring dove i protagonisti si fronteggiano, attraverso un logorante un gioco di ruoli e di potere. Seduto su una panchina, Lustrini cerca di riscaldarsi con un altro sorso di vino, l’ultimo, poi, prende in mano il libro di poesie e inizia a leggere, nella speranza, forse, di distrarre la mente dal freddo. Poco dopo sopraggiunge l’amico Cavagna che, sin da subito. rivela il suo carattere irascibile e volgare, infastidito dall’assenza di vino, necessario per riscaldarsi. Sono ormai proprio al limite e quello che potrebbe risollevare le loro sorti, è una rapina ai danni di un medico che abita in un condominio non molto distante da loro e di cui ormai conoscono le abitudini. Infatti, da giorni, seduti su quella panchina attendono il momento giusto per mettere in atto quel piano, organizzato nei minimi dettagli, e in maniera maniacale ripetuto a voce alta, più e più volte, nella speranza di riuscire a metterlo a segno e cambiare vita. Tanti progetti e tanti sogni da realizzare, come moltissimi sono i ricordi che li legano. Così, rispettivamente raccontano le loro storie. Lustrini aveva iniziato vendendo i giornali dell’Unità, poi, era stato maestro e infine marchettaro nei cinema porno; Cavagna aveva fatto l’attore, poi però si era giocato tutto col biliardo, con le donne, gli uomini e l’alcol. Vite sempre difficili e fuori dagli schemi, i due si confrontano e si scontrano in maniera violenta sul piano verbale, evidente è sempre la volontà di sopraffazione di Cavagna nei confronti dell’amico, verso il quale spesso si accanisce. Lustrini lo asseconda ed in maniera ossessiva ripete le parole che dovrà dire al medico per convincerlo a prestargli dei soldi. Tutto si gioca su questo intreccio di vite e speranza di cambiamento. Ma non hanno fatto bene i conti col freddo, con l’età, con la stanchezza, e così la morte decide per tutti e arriva improvvisa, scoprendo finalmente le carte e lasciando nella disperazione l’amico, amante, Cavagna.

Toracca e Raganato, interpreti di straordinaria abilità e bravura, riescono a focalizzare l’attenzione su quel senso di disperazione e di sconfitta umana, piuttosto che sul linguaggio utilizzato da Tarantino, che pur nella sua crudezza, perfettamente descrive la condizione di degrado e sconforto.