La Tarantella fra cultura e tradizione

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La recente 22esima edizione del Festival della Notte della Taranta conclusasi con la grande kermesse (24 agosto) del Concertone a Melpignano è l’occasione per qualche riflessione su un evento che rappresenta un patrimonio culturale e musicale di diverse regioni del sud ed in particolare della Puglia, terra alla quale spetta il ritrovamento delle prime fonti (inizi XVII sec.) e ove si evince un legame indissolubile con questo fenomeno antropologico-musicale.

Tarantella deriva etimologicamente da taranta (nel Salento anche pizzica) ed indica non una singola danza ma un’intera famiglia di danze caratterizzate e differenziate da alcune varianti che interessano l’aspetto coreutico, musicale, simbolico, ecc.

Il tutto nasce dal morso della tarantola (termine abbastanza diffuso nel tarantino), un aracnide appartenente alla famiglia dei Theraphosidae. Le persone pizzicate dal ragno subiscono una situazione patologica definita tarantismo.

Secondo la credenza popolare, la cura alla persona morsa dal ragno, che vive in uno stato di trance, è affidata all’intervento coreutico-musicale. Addirittura si racconta che, quando la tarantola pizzica le donne, per lo stato convulso (quasi epilettico) che ne segue esse sembrano indiavolate lasciandosi trascinare in un ballo dalla durata di molte ore o diversi giorni e/o settimane, al termine del quale il senso di liberazione corrisponde alla guarigione.

Fonte autorevole per comprendere il fenomeno del tarantismo è l’insieme di alcune opere del gesuita Athanasius Kircher (1602-1680), il quale, oltre a trattarlo terapeuticamente, riferendosi alla Puglia descrive le relative interazioni tra patologia e musica, fornendo una melodia definita Antidotum Tarantulae.

In piedi, a destra, Carpitella mentre assiste ad una interpretazione della tarantella

Parlando di musica, di coreutica e di antropologia, il pensiero volge ad uno dei principali pionieri dell’etnomusicologia in Italia (disciplina che si occupa della ricerca e dello studio delle tradizioni musicali orali) Diego Carpitella (Reggio Calabria 1924 – Roma 1990). Convinto che «l’oralità è una comunicazione acustica che si avvale di elementi che non possono essere riportati nello spazio della trascrizione» amava condurre le sue avventure “sul terreno”, visitando luoghi diversi del Sud.

La Puglia, soprattutto con Ernesto De Martino, diventa una terra da studiare per il fenomeno del tarantismo tanto da indagare dal Gargano fino al Salento. Fu proprio questo studioso insieme a Carpitella (1960) ad effettuare la prima ripresa documentaria filmica della terapia coreutico-musicale del tarantismo nel Salento raccogliendo canti, foto e altra documentazione a Nardò, Muro Leccese, Martano e altri piccoli centri.

Per far conoscere ai non addetti ai lavori questo complesso fenomeno, propongo l’ascolto de La Tarantella del Gargano, frutto della ricerca (1966) di Carpitella e dell’antropologo statunitense Alan Lomax a Carpino (Fg), un paese del Gargano, ormai più volte interpretata da molti gruppi di musica popolare e non solo.

La composizione, per le sue caratteristiche, si presenta come una serenata accompagnata oltre che dalle chitarre dalle percussioni. Il testo, rigorosamente cantato in dialetto, lascia ugualmente intuire l’obiettivo da parte del pretendente: far innamorare la giovane di cui è rimasto folgorato dalla sua bellezza partendo dall’interrogativo: «Comma dei fari pi ama’ ‘stadonni?» (Come fare per amare questa donna?). Pur di conquistare la ragazza è disposto a tutto. Notando un uccellino vicino ad una fontana in mezzo ad una cava alimentata da una sorgente, rivolgendosi alla ragazza attraverso il canto le sussurra «come sei bella», desiderando diventare un volatile pur di conquistarla.

In questo scenario ideale, con la fontana in mezzo alla cava (locus amoenus) e la sorgente che l’alimenta (topos della vita e della giovinezza), al giovane non resta che sperare l’amore di questa donna che, pur ‘ncagnata, ha saputo conquistare il suo cuore.

Strutturata su una base armonica più volte reiterata con un canto strofico e sillabico, la composizione rappresenta una delle più espressive e struggenti del repertorio popolare del mezzogiorno restituendoci, non solo musica d’altri tempi, anche antichi sentimenti che per la loro immortalità non hanno tempo.