La tradizione culinaria nella festa di Sant’Antonio Abate

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Sant’Antoni allu desertu se mangiava li spaghetti
e lu tiaulu, pe dispettu, ni turcia li furchetti.
Sant’Antoni Sant’Antoni lu nimicu ti lu timoni,
Sant’Antoni nu se lagna, cu le mani se li magna……

Sempre di grande fascino la storia di questo santo, nato in Egitto, a Qumans in Tebaide, nel 251 d.C., ricordato come il più illustre eremita.

Ritiratosi nel deserto per meditare, si narra, fu preda di terribili tentazioni da parte del diavolo, a cui  Antonio seppe  resistere. È per il suo  spirito da eremita che viene considerato il Padre del monachesimo. Venerato come protettore del fuoco è commemorato a Novoli con la famosa Fòcara, la pira più grande del bacino del Mediterraneo.

A questo proposito va ricordato che anche  in medicina esiste una patologia erpetica che come sintomatologia dà forti dolori urenti, ed è chiamata appunto  fuoco di Sant’Antonio.

Antonio Abate non è solo  protettore del fuoco, è anche il protettore degli animali domestici, da cortile e da stalla. Infatti nella iconografia classica è raffigurato con ai piedi un porcellino. Nel santuario  a lui dedicato, vi è una piccola cappella che conserva le sue sante reliquie venerate comunque tutto l’anno dai tanti devoti che vi si recano in preghiera con grande partecipazione.

Il giorno della vigilia il 16 gennaio, nel primissimo pomeriggio prima dell’uscita della processione, si tiene la benedizione degli animali. È questo un rito veramente unico e molto coinvolgente. I tantissimi fedeli venuti in pellegrinaggio, portano nella piazza antistante il santuario, ogni tipo di animale, al guinzaglio, in gabbia, in braccio, alle briglie ,  aspettando che il santo  faccia la sua prima uscita sul sagrato, proprio per questo primo sentitissimo rito. È uno spettacolo bellissimo e di grande valore etico vedere tanti animali, i più disparati, ed i loro umani, insieme nello stesso luogo per la benedizione da parte del parroco in vece del grande santo.

Molti altri sono i riti che caratterizzano questo evento di pieno inverno, e di particolare interesse sono le  tradizioni della cucina novolese, che vede nel giorno della commemorazione del santo  dei fuochi, Antonio Abate, come piatto principe della tavola, il pesce in ogni sua forma e varietà. È simbolicamente in questo giorno, fatto divieto consumare carni di animali terrestri di cui appunto il santo è protettore. Altra consuetudine di natura scaramantica sarebbe la chiusura di forni e di tutte quelle attività che vedono l’utilizzo del fuoco, proprio in rispetto del santo protettore del fuoco. Nella piazza principale un tempo,  ora nei locali preposti, sin dal primo mattino del 17 gennaio, c’é un ricchissimo mercato, oltre che di pesce, di frutti di mare tra i più prelibati, che  vede i cittadini di Novoli impegnati nella scelta.

Il pesce più importante della tradizione è la cernia, che può essere preparata in diversi modi, vedremo qualche speciale ricetta mediante cui preparare le gustose carni di questo pesce prelibato.

Tra le merci più ricercate troviamo dei ricchissimi  chioschi di frutta  secca. Quelli più tipici del periodo sono le cosiddette “castagne del prete” una specialità che vede le castagne prima cotte al forno e poi rinvenute in acqua o meglio in acqua e vino. I chioschi di dolciumi offrono una grande varietà di torroni, tipica la copeta, un torrone duro composto di mandorle e zucchero caramellato. Altra prelibatezza di una pasticceria popolare sono i mustazzoli, biscotti semiduri composti da mandorle tritate farina, cacao, buccia d’arancia, chiodi di garofano, caffè in polvere, ricoperti poi di  una glassa al cioccolato. Questi biscotti fanno coppia con i taralli zuccherati, semplici taralli semidolci ricoperti di una bellissima e candida glassa di zucchero.

Altra prelibatezza della festa di Sant’Antonio che si può trovare sui tipici banchetti in alcuni specifici angoli del paese, è la scapece gallipolina che viene tenuta in particolari tinozze di legno. Questa è fatta da piccoli pesci, i vopilli ed altro pesce azzurro di piccola taglia, che viene prima infarinato e fritto, poi messo a marinare in una salsa composta da mollica di  pane raffermo inzuppato d’aceto,  aromatizzato con tanto zafferano.

Una vera prelibatezza dal gusto unico molto intenso.

Ma veniamo alle nostre ricette riguardanti il pranzo del 17 gennaio. 

Con alcune fette di freschissima cernia  possibilmente quella locale dorata, prepariamo la zuppa, che potrà essere consumata o con crostini di pane tostato o meglio ancora fritto, o con la tipica pasta che viene preparata proprio per questa occasione: gli gnocculi.

Gli gnocculi si preparano con farina di orzo o  semola di grano ed acqua. Pronto l’impasto si procede a fare un maccheroncino e con dei pizzichi tra indice e pollice un piccolo gnocchetto grande come un seme o un ago di “spicanarda”. Questa pasta lasciata essiccare per qualche ora sarà condita con il sugo di cernia, che ora vedremo come  preparare.

Zuppa di cernia: qualche bella fetta di cernia marrone e gialla con tutta la pelle desquamata, un pezzo della testa, 2/3 grossi spicchi d’aglio, prezzemolo freschissimo (gambi e foglie) , un pezzetto di peperone verde, qualche foglia di basilico, bacche di pepe nero, olio evo, passata di pomodoro densa.

In una larga padella dal bordo non molto alto mettiamo dell’olio evo, gli spicchi di aglio, i gambi schiacciati del prezzemolo e il pezzettino di peperone verde, accendiamo il fornello ed appena sembra che cominci a sfriggere posiamo i pezzi di cernia, che faremo rosolare prima da una parte e poi dall’altra, facendo molta attenzione nel voltarli per  non rovinare la compattezza delle sue carni. Saliamo con moderazione perché il pesce comunque porta con se la salinità naturale del mare. Quando il pesce sarà ben rosolato, togliamo dal fondo aglio, peperone e gambi di prezzemolo, quindi copriamo con la passata di pomodoro che lasceremo piuttosto densa e non diluiremo molto. Profumiamo con qualche grano di pepe nero, copriamo e lasciamo cuocere dapprima a fuoco vivace e poi a fuoco lento per dare al pesce la possibilità che si insaporisca e alla salsa così ottenuta di prendere tutta la gustosità del pesce. Aggiustiamo di sale e controlliamo di tanto in tanto che il sugo non si consumi troppo asciugando anche le carni. A cottura ultimata possiamo servire in un piatto fondo mettendo un generoso mestolo di questo gustosissimo sugo, una delle fette di pesce e da un lato qualche crostino di pane preparato precedentemente. Spolveriamo con prezzemolo e basilico tritati, e una fresca macinata di pepe. È una vera squisitezza.

Alternativa num. 1: quando la cottura sarà ultimata potremo condire gli gnocculi precedentemente cotti in acqua, e aromatizzati con prezzemolo, basilico e pepe. La polpa della cernia sarà un ottimo secondo da gustare con una fresca insalata di finocchi crudi.

Alternativa num. 2: quando la cernia sarà ben rosolata togliamola dalla padella, mettiamo la passata a cuocere nel fondo di cottura del pesce, e mentre cuoce, con molta cura sbricioliamo la polpa del pesce facendo ben attenzione ad eliminare ogni singola spina possibile. A questo punto rimettiamo il pesce in cottura nel sugo ottenuto e lasciamo ben insaporire. Questo ragù andrà a condire o le trie o gli strozzapreti fatti con semola di grano o di orzo, in un connubio armonioso, sempre arricchito con il fresco  profumo di prezzemolo, basilico e pepe.