Quando muore un “barbone”

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Sei in un minuscolo fazzoletto di natura, con alberi di nespolo, ulivi e tronchetti della felicità, riparato dal rumore di una piccola e dinamica città. Giostra sempre accesa è la vita e tu seduto sulla tua panchina attendi. Intorno brulicano voci di studenti, turisti, lavoratori, passanti, indifferenti navigatori di questo mare inquinato e ingiusto. Eppure, appare tutto così in equilibrio. Gli alberi sono stati potati, le coperte e i cartoni piegati…

Tutto calmo, ma come sempre, è una corsa per arrivare primi. Noi, educati alla competizione, a diventare il più bravo, il più ricco, il più chic, la più brava, la più ricca, la più chic… Già, al “più”, ma al “meno”? Il meno non è interessante, non ha followers, non fa notizia. È solo un “frugale” pasto che diventa “lauto” in campagna elettorale. È questo il progresso? L’allontanamento dalla condivisione, dai sentimenti, dall’amicizia, dai valori, dall’amore? Che condanna alla solitudine e all’ indifferenza i più deboli? Mi piace pensare che tu abbia “scelto” e non che sia stato “costretto” a fare tuo il “senza”, che tu abbia deciso di accarezzare il vento, la libertà, la natura, e farne parte, come in un abbraccio antico, primordiale, per farti di nuovo accogliere dal grembo della madre e lì trovare pace.

Nel silenzio, seduto su quella panchina, lontano da domande e da sguardi privi di risposte, hai atteso la tua vita, e lei ti ha preso per mano…