La poetica allusiva di Alessandra Vannicola

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«Siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni» (W. Shakespeare, La Tempesta, Atto IV)


Nel dialogo delle arti capita, non raramente, di trovare punti di contatto anche distanti temporalmente.

Riferendoci in particolare alla poesia, più delle volte si tratta di sensazioni significative o semplicemente suggerite dai ricordi, dove, grazie all’effetto della metafora, si riesce ad “armonizzare” ogni singola parola con altre arti come, per esempio, la musica. Allora non ci si stupisce se il Lied con Schubert diventa un tutt’uno, una simbiosi perfetta tra le due arti e non semplice rivestimento e/o intonazione della parola.

Con tali premesse, non è difficile, per esempio, leggere delle “poesie senza tempo” e trovare tanti rimandi alla musica.

Ciò capita in alcune poesie di Alessandra Vannicola, nata a Lecce nel 1979, sociologa ed educatrice, con la forza di promuovere ogni forma artistico-culturale e che nel 2017 ha ricevuto il “Premio Lupiae”.

In questa occasione la nostra attenzione si sofferma su una poesia tratta dalla raccolta Vento del Sud, un volume che racchiude trentuno canti, pubblicato per Youcanprint nel 2013.

Riflessi d’acqua

Chiudo i cancelli della notte
accendo una stella
un’altra ancora
prima di addormentare l’assenza.

Assaporo il silenzio
un altro sguardo assetato
che scivola tra la lingua
e un desiderio inespresso.

Custodisco un segreto
il battito pieno dell’ombra
le stagioni sbiadite
che non splendono più.

Dove ho smarrito i miei occhi?

Il componimento sembra esposto come una partitura e l’insieme allude ad un rapporto d’amore, quasi empatico, tra parola e musica.

Sbirciando tra i versi, nel rapporto allusivo tra le due arti, la parola, materia viva della poesia, anche ove allude al silenzio, è capace di produrre vibrazioni significative.

Nella sostanza in questo “rapporto idilliaco”, quasi fisico, non è tanto la musica che si “impossessa” dei versi poetici ma il contrario, perché sembra quasi rifarsi a certe teorizzazioni poetiche wagneriane, dove: «La musica, intesa come donna, deve necessariamente essere fecondata dal poeta, inteso come uomo» piuttosto che alla mousiké dell’antica Grecia.

Il titolo impressionistico evoca sensazioni che rimandano alla musica di Debussy (Reflets dans l’eau) e le stesse emozioni e sensazioni liquide.

L’incipit «Chiudo i cancelli della notte» rimanda al grande tema della notte dove, oltre alla musica dei notturni di Chopin, non possiamo non scorgere un’evocazione degli spiriti notturni di Schopenhauer e quella consacrazione alla notte dei due amanti nel secondo atto del Tristan und Isolde di Wagner.

Poi non si possono sottacere i tre grandi affreschi degli Inni alla notte di Novalis in cui il poeta indaga nel suo Io attraverso l’occhio interiore. A tal proposito risulta emblematica la definizione della notte del poeta tedesco: «amabile sole notturno» unitamente ai legami musicali tra le due arti: «Le langage est un instrument musical. Le poète, le rhéteur et le philosophe jouent et composent grammaticalement».

Pensando in termini concettuali e formali riguardo alla poesia della Vannicola, dal punto di vista musicale, il testo sembra “custodito” nella forma tripartita dei notturni di Chopin (A-B-A’). Così la successione di alcune parole nelle tre quartine (I: «notte»; II: «silenzio»; III: «ombra») diventano il fil rouge di un canto d’amore notturno. Ma è anche un amore che partito da «accendo una stella» arriva alla pessimistica constatazione di quelle «stagioni sbiadite / che non splendono più».

In sostanza dai versi emerge un tuffo dell’anima dell’autrice che rimanda a quelle stagioni della vita “cantate” da Hesse e a lei non resta che constatare lo scorrere inesorabile del tempo e assaporare le proprie sensazioni.

Allora diventa legittimo chiedersi «Dove ho smarrito i miei occhi?» quasi dimenticando, attraverso il suo «addormentare l’assenza», quanto il sonno sia stato lontano dai suoi occhi. Ma gli occhi dell’autrice, pur guardando tra le tenebre del fragile animo umano quasi alla ricerca di quella «immortalità all’indietro» ricordata da Umberto Eco, per ispirazioni oniriche, dall’altro, sono colmi di bontà che si rivolgono alla bellezza della vita.