Don Chisciotte e la follia tra illusioni e realtà

0
1825
Wilhelm Marstrand, Don Quixote og Sancho Panza ved en skillevej, u.å. (efter 1847)

Don Chisciotte della Mancia. È questo il titolo del capolavoro dello spagnolo Miguel de Cervantes Saavedra, scritto agli albori del XVII secolo. Il primo romanzo moderno, pubblicato in due volumi nel 1605 e 1615, di certo il più celebrato nella storia della letteratura spagnola.

Cervantes ha avuto il privilegio, l’onore e l’onere di consegnare alla memoria ed all’immaginario comune un personaggio intramontabile, senza tempo, quell’Alonso Chisciano (meglio conosciuto come Don Chisciotte) la cui figura, la cui aura ha assunto una rilevanza ed un significato straordinario, che probabilmente andavano ben al di là delle aspettative del suo creatore.

Ma quello del tragicomico cavaliere della Mancia non è certo il primo caso di un processo che nella storia della letteratura rende immortali autori, opere e personaggi,  li adatta ai tempi, li rende sempre nuovi e li consegna all’immortalità.

Lo scopo intrinseco di Cervantes era quello di sottolineare l’inadeguatezza degli intellettuali dell’epoca, in un mondo caratterizzato dal materialismo e dallo sfiorire degli ideali. Per farlo, si serve del visionario Don Chisciotte, con la brama di ridicolizzare i libri di cavalleria e porre sotto la lente della satira la civiltà medievale del tempo.

Don Chisciotte viene rapito dalla lettura dei romanzi cavallereschi e dalle gesta dei poemi eroici: indossa un’armatura di vecchi rottami; monta su un cavallo di nome Ronzinante, evidente parodia di Bucefalo (il cavallo preferito di Alessandro Magno); si assicura le prestazioni di un fedele scudiero e compagno di avventure-sventure, Sancio Panza, in realtà un’umile contadino; crea nella sua immaginazione la figura di una dama a cui dedicare le sue imprese, Dulcinea del Toboso (Aldonza Lorenzo il suo vero nome), contadina molto “socievole” che non corrisponde le attenzioni del cavaliere, che trasfigura la ragazza in una magnifica principessa.

Infine, le imprese: mulini a vento che svettano come giganti e greggi di pecore che si trasformano in temibili eserciti di Mori, per citare solo le più famose fantasticherie del paladino spagnolo. Ma Don Chisciotte non è solo questo. La sua follia, il suo delirio, la sua confusione tra realtà ed immaginazione è dettata da una smania di giustizia senza eguali.

È diventato l’incarnazione dell’uomo che si batte contro le convenzioni, le prevaricazioni, senza temere di essere sconfitto, sospinto esclusivamente dai suoi grandi ideali. È proprio la tendenza ad idealizzare la realtà, la caratteristica predominante di Don Chisciotte; quell’idealismo che riesce, a volte, addirittura a sovvertire il cinico, insensibile realismo del fedele Sancho.

“Nessun limite eccetto il cielo – soleva affermare Don Chisciotte -. Non c’è ricordo cui il tempo non cancelli, né dolore a cui la morte non metta fine”.