Dacia Maraini a Leverano: “cerco di capire, non ho risposte”.

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Leverano (Le) – Serata all’insegna della cultura, a Leverano, nella sala convegni della BCC; le associazioni Lions, Leon e Fi.da.pa, tutte di Copertino, accolgono una delle scrittrici più importanti dei nostri giorni.
Dacia Maraini, settantaseienne signora della prosa italiana, si presenta sorridente, e con aria pacata delizia i presenti con concetti semplici che toccano le corde dell’anima. Accompagna tutti in un lungo viaggio di riflessione e introspezione. Danzando concettualmente sui suoi libri, racconta la sua vita piena di sofferenze, amore e cultura.

Incomincia parlando di “Buio” che nel 1999 le ha fatto vincere il prestigioso “Premio Strega”. Parla dei dodici racconti che trattano il tema della violenza sui bambini. Si ferma per un attimo e nel suo silenzio si rispecchia l’intera sala. Riprende facendo notare come la maggior parte delle violenze sui bimbi, siano perpetrate tra le mura domestiche. E pone un interrogativo che fa male: «Come mai in una società così evoluta come la nostra, non si riesce a eliminare questo fenomeno terrificante?».

«Va bene il carcere, le pene, i processi, ma è una questione di cultura». Pone l’accento su come nelle scuole elementari, dovrebbe essere inserito lo studio di una materia che vada oltre quell’insegnamento dell’educazione sessuale: ci vorrebbe l’educazione ai sentimenti. Tra le righe dei racconti, lei spiega il dolore immane, procurato da tale fenomeno, lo fa con pudore e pietà, avendo rispetto e non spettacolarizzando un qualcosa che è veramente orrendo. I bambini si dovrebbero solamente amare e non “violentare”.

Subito dopo si passa a “Bagherià”, romanzo edito da Rizzoli nel 1993. E qui fa un confronto, prima di entrare nel vivo della storia, tra Sicilia e Salento, trovando analogie sia per il Barocco sia per la cultura ereditata da Federico II, fa notare quell’aria di umanesimo e grida a gran voce di stare attenti a non svendere questa cultura sul mercato della mercificazione. La tecnologia e il potere sono andati troppo avanti per l’uomo che, a forza di inseguirli, rischia di tralasciare la cultura e l’amore; e qui ci sentiamo di far riferimento a un aforisma di Jung: “Dove l’amore impera, non c’è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l’amore”. 
“Bagherià” è un romanzo autobiografico, così si può definire, vede il ritorno dell’autrice nella villa dove ha vissuto l’adolescenza e qui, insieme alla zia, ripercorre i ricordi a cavallo tra un presente da costruire e un passato non da dimenticare ma da capire e metabolizzare.

A questo punto della serata l’autrice è scesa nei meandri più bui della sua infanzia. Il padre Fosco Maraini studioso di etnologia e in particolar modo del Giappone vince una borsa di studio per una ricerca sugli Hainu del Nord Giappone. Da antifascista convinto, coglie la palla al balzo e con tutta la famiglia si trasferisce in Giappone, è il 1938. Qualche anno dopo però, nel ’43, il Giappone firma un’alleanza con Italia e Germania e chiede a tutti gli italiani presenti nella sua terra di firmare fedeltà alla repubblica di Salò. Il padre e la madre di Dacia, si rifiutano categoricamente, in separata sede l’uno dall’altro, e vengono rinchiusi in un campo di concentramento. Qui la piccola Dacia conosce l’orrore della morte che vince sulla vita, soffre la fame e la malattia. 

E ci dona un significativo aneddoto che salva lei e le sorelle dalla morte sicura. Il padre, studioso, appunto, degli usi e costumi dei suoi carcerieri un giorno si trancia un dito e lo getta ai piedi del suo aguzzino. Nella cultura giapponese, chi fa un gesto di quell’entità, prima o poi riceverà qualcosa in cambio dalla persona cui lancia il dito tagliato. Così fu, il debito di riconoscenza fu saldato con una capretta. L’animale riuscirà a donare alle bambine il latte necessario per non morire, letteralmente, di fame. Liberati dagli americani, faranno ritorno in Sicilia, a Bagherià ma qui non troveranno nulla di tutto quello che possedevano. La madre ricca proprietaria terriera, figlia dei conti Alliata di Salaparuta, si vede privata di tutte le terre, la mafia ha acquistato tutto, non si sa come. La famiglia soffrirà la povertà ma a confronto alla deportazione tutto è il nulla. Racconta, dunque, della mafia, che già all’epoca della fine della guerra, intrecciò, grazie al bandito Giuliano, rapporti con gli americani, fino alla collusione con la politica dei nostri giorni. Suonano come una denuncia le parole della Maraini, che poi evidenzia come non bisogna mai dimenticare il passato, non bisogna coprire i brutti ricordi della seconda guerra mondiale, si diventerebbe complici degli orrori della mente umana.

Brevemente parla di un altro suo libro, “Il treno per Helsinki”, ritratto giovanile di quel ’68 che ha segnato gran parte della storia italiana. Parla delle utopie Marxiste e del pensiero di Rousseau, fino ad arrivare a definire mostro Stalin e a lodare la democrazia, unica ancora di salvataggio per le generazioni presenti e future. Ci tiene a sottolineare che uno scrittore non deve mai essere di parte o ideologicamente schierato, per uno scrittore non deve esistere una verità ma deve essere sempre alla ricerca della verità. Poi sorridendo dice: “Cerco di capire, non ho risposte”.

Il meraviglioso viaggio con la Maraini continua con un piccolo epistolario tra due donne, ambientato nel ‘700, dal titolo “Un sonno senza sogni”, dove racconta di due donne innamorate dello stesso uomo e si conclude tra le pagine di “Lettere d’amore”. In quest’opera, la Maraini incontra la lirica di Gabriele D’Annunzio e crea intorno a delle sue lettere d’amore la storia di Mara. Dopo la morte della madre, la donna nelle sue opere di pulizia, ritrova un cofanetto con alcune lettere indirizzate alla mamma. Sono lettere d’amore molto forti; scopre un mondo a lei sconosciuto e si sente distante da quella donna che fino a poco tempo prima considerava la più grande confidente. Diventa gelosa di quell’uomo che scrive alla propria genitrice con tanto ardore, fino anche a chiedersi il motivo per cui non sia stato lui suo padre, poiché il padre era buio e grigio da sempre. Si ferma a pensare perdendosi nelle plastiche metafore del D’Annunzio e percorre quel tragitto linguistico che le permetterà di conoscere ciò che ignorava della madre: il suo più grande segreto.

Lo spessore umano e culturale della scrittrice è molto elevato e regala ai presenti riflessioni su riflessioni.

La Maraini non lesina sorrisi e autografi agli occhi ammirati delle persone che fanno la fila per acquistare il libro.

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