Realisti e sognatori ai tempi del Covid

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“Audaces fortuna iuvat”, dicevano i nostri progenitori latini. Si è inclini a dividere gli individui in due categorie: i “visionari”, come avviene nella critica cinematografica, con una caratterizzazione positiva del termine, e i realisti, spesso di bollare questi ultimi in pessimisti. C’è chi fa appello alla fortuna e alla superstizione per leggere i destini della sorte.
Vi sono popoli famosi per il fatto di fare ricorso alla buona stella per decidere, ad esempio, se iniziare o meno una nuova attività, fare o non fare o meglio organizzare degli eventi  se sono a cavallo di giornate o date i cui numeri sono ritenuti più o meno fortunati. Vedasi il portafortuna storico 13 e il porta sfiga 17 da sempre.

Ma la cultura ci insegna che le cose cambiano se ci si sposta ad un tot di passi nella geografia del globo. Tuttavia che cosa ci ha lasciato in eredità il lockdown? In buona sostanza il fatto di essere stati trincerati in casa, guai a mettere il naso fuori senza protezione, e per molti versi purtroppo è nuovamente ancora così, ciò ci fa capire che il realismo può salvare. Combattere il virus a spada tratta si può solo se realmente sappiamo che esiste. La realtà pratica ci mette in mano dei mezzi concreti, le misure di distanziamento sociale che frappongono una barriera tra il nemico, la cui azione è stata finora quella di sterminare migliaia di corpi in ogni angolo della Terra. Il realismo porta a credere e in questo caso anche a prevenire il male. Non per nulla si dice “uomo avvisato mezzo salvato”.

Il fatto di valutare e credere in qualcosa poi pone le basi per costruire una difesa, un piano d’azione e compiere, se vogliamo, anche ciò che desideriamo, e ciò permette di tramutare in reale ciò che è in nuce un’idea. Ma dall’altra parte ci sono i sognatori che si affidano naturalmente alla fantasia e alla creatività rilassando mente e corpo. Tanti abbandonandosi così specialmente nella quarantena hanno tradotto in concreto ciò che era astratto.

Tornano in mente gli stornelli musicali, le opere letterarie e pittoriche e lo stesso manifesto con la scritta “Andrà tutto bene”, sorta di talismano frutto di ispirazione perfino per i bambini , che si sono sentiti un po’ adulti vivendoci tutto il tempo a stretto braccio. E poi gli scongiuri con frasi fatte che in momenti tristi aiutano!

Diceva Shakespeare “Può la notte essere sonno se la la vita è solo un sogno?” A lui fa eco Stephen Covey che ha opportunamente evidenziato nel libro “I sette pilastri del successo” -L’arte della leadership (ed. Bompiani), che ogni cosa che prende forma, vede la luce dopo essere stata pensata due volte; come per nascere si deve faticare, perché la nostra azione abbia successo deve essere prima scritta, poi riletta, e ancora modificata e completata. A tal proposito viene da pensare che ciò che è reale e altresì ciò che si sogna hanno dei punti di contatto comuni. Solo sognando il sogno, scusando la ripetizione, il vissuto reale prende corpo.

I più capaci scultori e anche i pittori credono nell’abilità della mano che “esteriorizza” il tono e le fattezze nella realizzazione delle opere d’arte. Ma anche nel sentimento d’amore l’uomo e la donna scommettono su se stessi, puntando sul gioco simbolico-reale che esprime una realtà analogica.

Tirando le fila del ragionamento, non c’è un progetto che non sia stato prima ideato e quindi a priori delineato in un’immagine, risultato del pensiero reale della mente. Le due polarità in cui si collocano realisti e sognatori si alternano come luce e tenebre, nulla di nuovo e così da sempre un susseguirsi interminabile scandito dai ritmi filogenetici. E, secondo la dialettica ludica, possiamo concludere con quell’intramontabile e tranquillizzante frase utilizzata dal croupier (l’addetto delle scommesse di un casinò),”Les jeux sont faits rien ne va plus” ( i giochi- ormai- sono fatti, nulla va più).