Salento & Dintorni: il Calvario di Manduria

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A Manduria, in provincia di Taranto, esiste un monumento misterioso e decisamente insolito: il Calvario, situato nei pressi del giardino pubblico principale e realizzato sostanzialmente con materiale di risulta (cocci di ceramica, maiolica e vetro), recintato da un muro e da una cancellata.

Pare che questo estroso monumento sia stato edificato nel 1839, allorché, in Quaresima, alcuni sacerdoti liguorini (ossia della Congregazione del Santissimo Redentore, istituto religioso maschile di diritto pontificio, fondata a Scala, presso Amalfi, da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori), tennero prediche nei luoghi di culto della città e decisero, come ricordo di quell’evento religioso, di impiantare cinque croci per la formazione di un Calvario.

Così, nell’attuale piazza Vittorio Emanuele II (meglio conosciuta come Villa Comunale), furono addossate numerose pietre e, costituitone un mucchio, furono cosparse di terra, su cui vennero impiantate cinque grandi croci.

Successivamente, per arricchire il Calvario troppo spoglio, l’allora arciprete Marco Gatti incaricò Giuseppe Renato Greco, un artigiano che proveniva da Francavilla Fontana, di abbellire il luogo.

Il Greco si dedicò per oltre quarant’anni alla costruzione e manutenzione dell’opera da lui stesso scolpita, composta – come detto – di frammenti e pezzi di ceramiche di Manduria e di Laterza, maioliche, porcellane, vecchie stoviglie, raccolte di casa in casa e utilizzate come tessere di mosaico, specchi, tegole e qualunque altro tipo di materiale variopinto, adatto ad abbellire, con i colori invetriati delle maioliche, il monumento.

L’opera raffigura le tappe della Passione di Gesù Cristo, con la casa di Caifa, quella di Pilato, il tribunale di Erode, il tempio di Gerusalemme…

Da un’analisi compiuta sul manufatto, si è scoperto che molti cocci utilizzati sono un prodotto della ceramica graffita mandurina del ‘500, dai colori verde e marroncino su fondo giallo; mentre, i ricchi pezzi dal vivido colore turchese appartengono alla ceramica laertina del ‘600. Infine, si notano elementi provenienti da Napoli e Faenza.

Quando l’opera fu terminata, il Greco raccolse conchiglie, gusci, ciottoli, aggiungendo, infine, alcune pianticelle e due piccole vasche con anguille e tartarughe d’acqua.

In tempi recenti associazioni culturali quali “ProfiloGreco”, “ArcheoClub” e “L’Albero Fiorito” si sono molto adoperate per salvaguardare la dignità artistica del particolarissimo monumento, organizzando visite guidate all’interno di esso e consentendo ai visitatori di apprezzare l’antica suggestione del luogo.