Le mamme salentine e la sindrome dell’abbandono

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“Ogni figlio è bello a mamma sua”! Mai modo di dire fu così azzeccato per le mamme salentine, impaurite, anzi inorridite, dall’arrivo di quel momento in cui il proprio “bambino” si svezza partendo per l’Università. Per loro è un periodo particolare, in cui tristezza e angoscia si alternano in momenti di urla degne di una scenetta napoletana e raccomandazioni varie come se si stesse partendo per la guerra in Vietnam. Quell’ultima estate prima della partenza è un caos totale, vedi le luci interne di alcune case salentine accendersi già alle 4 del mattino, e tu lì capisci che un altro figlio sta per volare via verso nuovi orizzonti, abbandonando una madre prossimamente annientata da quella partenza.

Ma andiamo per gradi, il risveglio a quell’ora, per una donna salentina che presto sarà “privata” del proprio figlio, è dovuto. Si devono preparare tutti i manicaretti possibili, perché il suo bambino “va in Burundi” e lì non ci sono supermercati, quindi sotto con lasagne, polpette, polpettoni, rape, minestre e minestrine, brodi, pezzetti di cavallo, polpo a pignata e tutto ciò che si può congelare cucinato in abbondanza in modo che possa bastare fino al rientro per le feste; tutti sanno però, che quelle portate basteranno per l’intero percorso universitario e che il “giovane fuggitivo” sfamerà i suoi coinquilini per liberare il freezer quanto prima. La mamma salentina è così, lei fa la scorta di tutto, qualsiasi cosa possa servire al proprio “bambino”, sempre perché “parte per il Burundi” dove nel frattempo che cucinava di tutto e di più non hanno ancora aperto supermercati. E allora, pronti per una spesa sfrenata nei tre mesi estivi prima della partenza, via con fazzoletti, vestiti nuovi, dentifrici, spazzolini, pinzette, mutande e mutandine perché non si sa mai, magari mi ritorna magicamente neonato, calze e calzini, caramelle e cibi in scatola, pannolini e biberon così, perché ti deve umiliare per farti sentire un poppante e in colpa per la partenza. Ma una cosa non la compra, quella no! La lametta per la barba, quella è simbolo di virilità maschile e per lei tu non sei un uomo, sei un bimbo “minchia” ancora con i pannetti, quindi comprare la lametta sarebbe come darsi torto da sola, e le mamme salentine non hanno mai torto!

Arriva ahimè per loro il disperato giorno della partenza, dove tuo padre ha affittato un camion motrice frigo per il trasporto del cibo congelato e un tir per gli altri pacchi di “cose utili”. La famiglia naturalmente ti accompagna con la sua utilitaria seguita da questi camion con scritto su ognuno: “figlio in partenza”. Pronti, si parte! Inizia una sorta di marcia lenta all’interno del paese, dove la madre espone un fazzoletto bianco dal finestrino e il padre è costretto a sottostare a questa agonia, che non comprende, perché per lui va bene che il figlio vada all’Università, finalmente si potrà godere la tranquillità di casa senza urla di ragazzini adolescenti che strimpellano strumenti improvvisati perché vogliono diventare una grande band. Quindi, questa marcia continua per tutto il paese, dove al passaggio dell’automobile, le “commari” (si con due “m” perché qui in Salento ci piace esagerare con la pronuncia) affacciate dalla finestra, sventolano anche loro un fazzoletto bianco pensando: ”Ecco un altro figlio ingrato”. Ma ingrato a cosa? Ma va all’Università, non sta mica disconoscendo i genitori. Comunque, dopo varie ore di strada dove allo scoccare di ogni “mezza” la madre ripete: ”ma cussì largu ete, figghiu miu!”.

Finalmente si arriva nell’appartamento affittato. Neanche si scende dalla macchina e già lei inizia: “Mmm non mi piace questo quartiere, il centro è dall’altra parte della strada; mmm non mi piacciono i tuoi coinquilini, uno dei due ha i capelli lunghi, si droga sicuramente; mmm il freezer è troppo piccolo, domani prima di partire compriamo una cella frigorifera da mettere in stanza; mmm non mi piace questa città, è troppo grande e tu dovrai camminare tanto per andare da una parte all’altra e poi l’aria è pesante, si sente lo smog, ma tanto ho comprato la maschera anti gas, mi raccomando mettila tutte le volte che dovrai uscire, ah ricorda che nella valigia gialla ci sono le ginocchiere da mettere sotto i pantaloni ogni volta che il tuo piede varca la porta di casa, spero poco perché sei venuto per studiare e non per uscire”. E così per almeno altre dodici ore finché non si è scaricato dai tir tutto il necessario. Capisci che una mamma salentina sta partendo dopo aver lasciato il proprio “bambino” quando nella città rimbomba un suono simile a una sirena, più agghiacciante però, meno sordo, quello è il suono di mamma. Queste sono le nostre splendide mamme salentine, donne straordinariamente sognatrici, convinte che il proprio figlio non debba crescere mai, donne meravigliose, perché, come tutte le mamme, ogni volta che tu lo vorrai, saranno lì, ad offrire la loro spalla come salvagente dalla vita.

Classe ‘86, vive a Squinzano, piccolo paese della provincia di Lecce. Fin da adolescente manifesta una forte passione per la scrittura, percepita come insostituibile mezzo di espressione personale e di comunicazione diretta al cuore delle persone. Appassionato di arte, storia ed archeologia, cresce nel quartiere di Sant’Elia, luogo ancora ricco di mistero, dove conduce ricerche e studi su un convento del 1500, effettuando numerose e importanti scoperte archeologiche che gettano nuova luce sul complesso monastico. Scrive su diversi blog e giornali come “Salento Vivo”, “Spazio Aperto Salento”, “L’ORticA”, “Il Trepuzzino”. È in procinto di pubblicare la sua prima raccolta di scritti con Aletti Editore.

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