Bande a Sud 2016, appunti di viaggio del Maestro Gioacchino Palma

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13920090 1008137422638454 1649001940220704676 oTrepuzzi (Le) – È ormai calato il sipario sulla quinta edizione di Bande a Sud, una kermesse unica nel suo genere. Nata da un’idea del Maestro Gioacchino Palma, di anno in anno la manifestazione ha coinvolto un gran numero di artisti provenienti non solo dalla Puglia ma da ogni parte del mondo. I dati di quest’ultima edizione parlano chiaro: un successo e una partecipazione sempre crescente. È la magia della banda la cui musica si riversa nelle strade, catalizzatrice e fulcro di tutte le feste. Abbiamo incontrato Gioacchino Palma, direttore artistico di Bande a Sud.

Che cosa significa essere Direttore Artistico di un festival come quello di Bande a Sud?

Significa tanto lavoro e condivisione. Significa aver avviato un processo che, se da un lato deve farsi carico di una costante documentazione, una ricerca incessante delle esperienze musicali che interpretano nel nostro tempo lo spirito della banda, dall’altro – ancora più importante – deve tenere unito un gruppo sempre più numeroso, appassionato, consapevole. Non è facile. Un festival della portata di Bande a Sud ha bisogno di professionalità sempre più specifiche e preparate. Occorre farsi carico di porzioni di lavoro di grande entità, che possono essere condotte a compimento solo nel rispetto dei reciproci ruoli, armonizzati tra loro. Un gruppo nel quale ci sia fiducia reciproca, capacità di superare attraverso il dialogo le inevitabili difficoltà, unità negli intenti e negli obiettivi. Nel gruppo di Bande a Sud avviene tutto questo. Credo che sia il vero segreto del festival, ed è per me motivo di grande soddisfazione.  

Cosa contraddistingue questo festival rispetto ad altri festival Bandistici?

Il nostro festival ha un sottotitolo molto preciso e rivelatore: “festival degli immaginari bandistici”. Della banda ci interessa la storia, la narrazione, il profumo, la suggestione, l’archetipo. La banda, in senso ampio, è un universo molto stratificato. Ingloba tutte quelle esperienze, in genere popolari, di musica “da strada”, di comunità e celebrazione, oppure legate alla ritualità. Spesso nasce in ambienti e geografie disagiate, che vogliono emergere ed esprimersi inventandosi tutto, dagli strumenti agli stili esecutivi, dai repertori ai modelli formativi. Non è solo un fatto musicale, ma coinvolge in modo molto forte un’esperienza molto particolare di comunità. Poi ci sono le esperienze bandistiche specifiche, e quelle del Sud Italia ne sono un esempio straordinario. Una delle pochissime realtà popolari che, dal basso, si appropria della musica colta e ne declina gli stili in modo originale ma in un certo senso “filologico”. Le trascrizioni dell’Opera, del repertorio sinfonico, e le composizioni originali di marce sinfoniche, hanno dimostrato, in più di due secoli di storia, una grande perizia del mestiere da parte di grandi uomini nati dalle nostre parti. Questi uomini provenivano da ambienti umili,  non avevano compiuto studi regolari, ma seppero autoistruirsi e ci hanno lasciato un ragguardevole patrimonio musicale, tutto da studiare e raccontare. Ecco, il nostro festival si nutre dell’intersezione di queste due polarità, e dello spirito universale della banda, che si rifiuta di distinguere tra colto e popolare. Uno spirito molto attuale, mi pare.   

Da operatore, come si è mosso in questi anni per creare la programmazione del festival?

gioacchinHo ascoltato molto, mi sono confrontato con altri esperti del settore, ho letto. Non mi sono mai basato solo sulle le mie conoscenze pregresse. È importante non perdere mai la capacità di farsi stupire, di modificare le proprie convinzioni. Il programma così come lo si vede nella veste definitiva è frutto di estenuanti ricerche, che spesso devono fare i conti con la reale possibilità di avere un artista da noi proprio in quel periodo. Il più delle volte non è possibile, e l’ideale, la costruzione del puzzle che consente di sviluppare il tema di riferimento (ce n’è sempre almeno uno)  si scontra con la realtà. Occorre cominciare con grande anticipo, munirsi di pazienza e non darsi mai per vinti. Soprattutto, mai fidarsi solo di internet. Se possibile, valutare di persona, e in forma live – che è sempre diverso – i musicisti che si intendono coinvolgere.

Gli obiettivi del festival sono sempre gli stessi o sono cambiati?

Si sviluppano e si amplificano sempre di più. Tre esempi tra i tanti di quest’anno: 1) la dilatazione del numero delle giornate dedicate alle Marching Band. Quest’anno sono state tre, e ci hanno consentito di gustare meglio e con più attenzione questa particolare declinazione dell’arcipelago banda; 2) il progetto BAS street art, che letteralmente ha lasciato il segno sul nostro territorio, in luoghi periferici e degni di rigenerazione urbana; 3) l’opera rappresentata in forma completa in piazza, ineludibile riferimento storico delle nostre bande.

Qual è oggi la percezione del pubblico nei confronti della musica per banda?

Il pubblico è entusiasta della musica per banda. Uno dei motivi risiede nel fatto che la banda, quasi sempre, suona tra la gente, mischiandosi ad essa. Il consueto modello dicotomico tra artista sul palco e pubblico adorante sotto, viene letteralmente annullato. Il pubblico è parte integrante dello spettacolo, contribuisce attivamente, fa sentire la sua presenza, in un continuo scambio reciproco di emozioni. Prova ne sia il fatto che, anche quando gli artisti sono sul palco amplificato, alla fine della serata passano in mezzo alla gente per andare sulla Cassarmonica, con tutti i partecipanti che danzano  accanto e intorno agli artisti. È diventato ormai uno dei riti più suggestivi di Bande a Sud.

Come vede il mondo bandistico Italiano e in particolare quello pugliese in questo momento rispetto all’Europa? Come migliorarlo? Come giudica il movimento 13872859 1008265082625688 1627687181871230749 nbandistico italiano? Quale sarà il suo futuro sviluppo?

Il mondo bandistico italiano è molto ricco, sia per quanto riguarda il fenomeno delle Marching Band, sia quello delle Bande da Giro del Sud. Due considerazioni: la prima riguarda la formazione e la politica culturale e musicale, che come sappiamo in questo momento nel nostro paese non gode di ottima salute. La banda, proprio come avveniva in passato, può costituire un momento di auto-organizzazione e formazione dal basso: in fondo dalle nostre parti la banda nacque proprio per questo motivo. Senza considerare lo sbocco professionale che può costituire per tanti giovani musicisti suonare in una banda. Non è la soluzione dei problemi naturalmente, ma di certo, un importante contributo. La seconda considerazione riguarda i modelli di organizzazione delle nostre bande di strada, più focalizzati sulla pratica virtuosistica e a mio avviso un po’ più rigidi rispetto alle esperienze  – per esempio – francesi, tedesche e olandesi, che privilegiano l’aspetto ludico, sociale e conviviale. Diverso il discorso della banda tradizionale, che dovrebbe secondo me mantenere saldo il legame con la tradizione, senza inseguire stili e pratiche più consone ad altri tipi di formazione.

Qual è il suo personale bilancio consuntivo di quest’ultima edizione di Bande a Sud?

Sono molto felice dell’esito di questa quinta edizione. Grande attenzione da parte di tutti i media nazionali, concerti ed eventi collaterali di grande qualità. E – quel che è più importante – un gruppo sempre più numeroso, unito, capace, e una comunità sempre più partecipe e appassionata. 

 Foto: Antonino Leo