ALZHEIMER: una malattia sociale

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Stando al rapporto su”Lo stato dell’arte della ricerca sulla demenza”, pubblicato da Federazione Alzheimer Italia, la demenza è la settima causa di morte in tutto il mondo e non esiste a tutt’oggi una cura. Ogni 3 secondi nel mondo una persona sviluppa una forma di demenza e, a livello mondiale, la demenza colpisce 47 milioni di persone, in particolare, le donne che rappresentano i 2/3 del totale. Nel nostro paese i casi stimati risultano 1 milione e 241mila. Una vera e propria emergenza sanitaria, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Pare infatti che i 35,6 milioni di casi del 2010 siano addirittura destinati a raddoppiare nel 2030 con un’incidenza di 7,7 milioni di nuovi casi all’anno.

Una malattia, considerata a torto un disturbo mentale, ovvero psichiatrico, per la quale famiglie, medici, ricercatori, associazioni Alzheimer, istituzioni sanitarie sono chiamati a agire per dare risposte concrete.

Se ne è parlato nel corso del convegno “Il morbo di Alzheimer: sfida dei nostri tempi e nuove prospettive” che si è tenuto nei giorni 28 e 29 settembre a Lecce a cura dell’Unità di Neuropsicologia Clinica del Dipartimento di Neuroscienze dello Studio Radiologico Associato e Poliambulatorio Calabrese di Cavallino (Lecce) col patrocinio di Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri- Provincia di Lecce, Ordine Psicologi – Regione Puglia, Associazione Psy:i – Lecce, Associazione Salento Alzheimer, Comune di Lecce e Comune di Cavallino.

L’evento ha visto la partecipazione di associazioni e professionisti del settore che hanno offerto contributi scientifici preziosi in merito alle attuali e innovative applicazioni diagnostiche e terapeutiche per l’Alzheimer, come l’uso dell’esame Neuroradiologico che rappresenta il futuro dell’evoluzione della diagnostica per immagini.

“L’Alzheimer” ha spiegato Antonella Vasquez – CSM Lecce “è una malattia della memoria che coinvolge l’intera famiglia, famiglie che spesso non sanno come affrontarla e che, il più delle volte, diventano un microcosmo di solitudine”.

Tra i sintomi iniziali possono esserci disturbi comportamentali lievi come, ad esempio, leggere, ma non capire che cosa si sta leggendo. A essi seguono difficoltà a relazionarsi, perdersi per strada e difficoltà a memorizzare. Poi arrivano i disturbi psicotici – come il delirio della gelosia -, insonnia, depressione, difficoltà nel linguaggio, disturbi fisici, parkinsonismo, disturbi alimentari fino alla fase terminale, in cui la persona malata è allettata e deve essere nutrita.

“Per il malato di Alzheimer è importante il recupero della memoria” ha sottolineato Maria Cotella, Fatebenetratelli-Brescia “che attualmente si può realizzare attraverso l’utilizzo di tecniche di stimolazione non invasive come la Stimolazione Transcranica a corrente diretta continua (tDCS) e la Stimolazione Magnetica Transcranica ripetitiva (rTMS) che possono indurre a finestre di plasticità positive e al miglioramento dell’umore e dell’affluenza verbale oltre che della memoria e del riconoscimento facciale”.

Una strategia promettente per il futuro su cui le case farmaceutiche stanno lavorando è rappresentata dall’immunoterapia, vale a dire dalla vaccinazione attiva e passiva. Ma ci sono anche i farmaci sperimentali, tra cui alcuni già utilizzati per la cura del diabete. Di fatto, però, questi farmaci migliorano i sintomi, ma non rallentano il decorso malattia. Sintomi che, nel caso di ansia, depressione e aggressività, possono essere alleviati attraverso l’uso della Doll terapy, terapia della bambola, che può ridurre lo stato di agitazione nel malato di Alzehimer e aumentarne l’attenzione e la concentrazione e l’uso della cannabis terapeutica.

“L’uso dei cannabinoidi” sostiene Giovanni Caggia – Dip. Neuroscienze Calabrese “contribuisce infatti a migliorare l’umore, la funzione motoria, il sonno e la funzione cognitiva del paziente specie, se la cannabis viene assunta, in forma di olio”.

Il rischio di ansia e depressione non riguarda, però, soltanto le persone malate di Alzheimer, ma può anche colpire i familiari delle stesse con aumento del rischio di maltrattamento della persona malata. In loro soccorso arriva la mindfulness, terapia di gestione e riduzione dello stress mediante la consapevolezza che tiene conto delle interazioni corpo–mente e che si ricollega alla psicoterapia cognitiva.

In base agli ultimi studi, esiste tuttavia una stretta correlazione tra demenza e stili di vita. Tra i fattori di rischio ci sono: diabete, ipertensione, obesità, inattività fisica, depressione, fumo e basso livello di istruzione.

“L’alimentazione” ha detto Barbara Santoro, Associazione Psy:i – Lecce “riveste un ruolo fondamentale. Esiste infatti una stretta correlazione tra intestino, fegato e cervello. La disbiosi intestinale è infatti responsabile degli stati di ansia, del rischio depressione e dei disturbi comportamentali”.

Regina delle diete, ovviamente, la dieta Mediterranea che può ridurre il rischio di Alzheimer del 40%, ma insieme a essa ci sono pure la dieta chetogenica e la dieta APT.

Migliorare la dieta significa migliorare la memoria e contribuire non poco al miglioramento della qualità di vita delle persone affette da demenza e Alzheimer.