Alla ricerca di un’umanità perduta

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Come uomo del Sud ho sempre riflettuto su alcuni gesti, apparentemente normali e abitudinari. Ricordo che entrando in un bar con amici, tra saluti, sorrisi, ecc., c’era sempre qualcuno che, finita la colazione e in procinto di andare via, poteva precedere nel pagamento. Forse l’effetto del “tutti amici” o del conoscersi? In parte vero.

Qualcosa di simile è accaduto anche con alcuni signori di Napoli conosciuti viaggiando sulla tratta ferroviaria Firenze-Napoli. Arrivati alla stazione centrale del capoluogo campano, nell’attesa di una coincidenza, accettai volentieri l’invito a una colazione con cappuccino, sfogliatella e pastiera napoletana in uno dei bar vicini. La gentilezza e il desiderio di condividere alcuni momenti genera la gioia di incontrare gli altri e spesso un invito a pranzo può rappresentare l’inizio di una bella amicizia.

Grazie al viaggiare, quasi effetto della globalizzazione, ho scoperto che la gentilezza e il prendersi cura dell’altro travalica i luoghi e le abitudini diventando una caratteristica di coloro che hanno un cuore vibrante verso il prossimo.

Però non mancano persone che se ne approfittano. Accade che alcuni, pur economicamente facoltosi, accettino volentieri di farsi offrire qualcosa senza mai ricambiare la gentilezza. Chissà se la sempre più diffusa maniera di «fare alla romana», ovvero dividere equamente il conto di un pranzo o cena, soprattutto quando si è in gruppo, non scaturisca anche da ciò? Attenzione, perché anche in questa occasione può annidarsi il furbo. Esiste il soggetto approfittatore che, nella logica della divisione equa della cifra, approfitta per abbuffarsi o per scegliere cibi molto più costosi rispetto agli altri commensali. Sono comportamenti che richiamano alla mente frasi come la spagnola: «Tu pérdida es mi ganancia» che in altre parole rispecchia la massima «mors tua, vita mea».

In questi diversi comportamenti umani accade, soprattutto a chi non è abituato a ricevere una gentilezza o un’attenzione, che sia colto dal sospetto che dietro un gesto di ‘gratuità’ si celi addirittura un inganno. Infatti nel tempo si è preferito accettare quel do ut des che in Toscana è tradotto con l’espressione «a buon rendere»: si accetta un’attenzione (anche un favore) con la promessa che poi dovrà essere ricambiato.

Insomma, tutto cambia ma molte cose restano immutabili: passa il tempo e si assiste ad un genere umano che agisce sempre per il proprio profitto o tornaconto (pro domo sua).

Tuttavia, se guardiamo al mondo del volontariato, dell’accoglienza e della solidarietà, esistono le eccezioni come ben esplicitato nell’art. 1 dello statuto della Caritas nel promuovere: «la testimonianza della carità nella comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica» e/o in tante altre comunità presenti nel nostro Paese che con enormi difficoltà riescono a soddisfare i ‘bisogni primari’ di ognuno e in molti casi vanno anche oltre ad un pasto caldo.

Tornando ai valori dell’ospitalità e della condivisione presenti al Sud ricordo in terra salentina (Guagnano) la festa di San Giuseppe (19 marzo), appena trascorsa, con il fenomeno delle “mattre” (lunghe tavolate imbandite di cibo) ove le persone, un tempo soprattutto quelle più bisognose, si avvicinavano per condividere il cibo offerto generosamente dalla comunità.

Però il bene non è da rintracciare solo nella tradizione e negli organismi ormai ben consolidati che diffondono la promozione della carità come la Caritas che ormai da mezzo secolo si è diffusa in moltissime diocesi italiane, ma anche altre realtà che miracolosamente pullulano dappertutto.

Cito volentieri l’Oratorio di San Francesco Saverio “del Caravita” in pieno centro a Roma di cui sono stato testimone dove, oltre a garantire il nutrimento del corpo, si offre anche il nutrimento spirituale tanto necessario per rendere migliore questa umanità disorientata.

Come ricordato da un volontario dell’Oratorio questa mensa dei poveri è frequentata da tantissimi stranieri ma anche da italiani. Si pensi che nel nostro Paese quasi tre milioni di persone non hanno un pasto caldo al giorno: chi non ha più un lavoro, come imprenditori, artigiani e commercianti costretti a chiudere le loro attività perché non riescono a far fronte alle tasse e al pagamento delle bollette, ecc. Poi ci sono i pensionati che non riescono ad arrivare a fine mese, o famiglie che non ce la fanno a garantire il necessario per i figli.

Nell’attesa di leggi sociali adeguate, aumenta anche la solidarietà (autentico antidoto alla povertà tout court), soprattutto grazie alle varie associazioni di volontariato e all’impegno di tante persone ma anche all’instancabile voce di Papa Francesco.

L’ istituzione della Giornata Mondiale dei Poveri è da intendersi come continuo richiamo ad essere sempre pronti a tendere la mano ai nostri fratelli meno fortunati.

Come un gradevole ritornello, quasi ‘dolcezza’ alle nostre orecchie e al nostro cuore, ecco allora il reiterarsi di gesti colmi di generosità e di amore. Acquistare alcuni prodotti quando facciamo la spesa nei supermercati riservandoli per le fasce meno abbienti o lasciare quel caffè pagato, accennato all’inizio, per quel cliente ora in difficoltà economiche che verrà dopo, nel loro piccolo, possono essere un esempio concreto di condivisione e di amore fraterno per i poveri cui è destinato il regno dei cieli.

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