“L’uccello di fuoco”, uno spettacolo “diverso dagli altri” firmato Fredy Franzutti, in scena a Lecce

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Nel cuore di Lecce, nel quadrangolare Chiostro barocco del Monastero dei Teatini, situato accanto alla Chiesa di Sant’Irene, il 18 Agosto scorso è andato in scena lo spettacolo: “L’Uccello di Fuoco”. In questo suggestivo “contenitore culturale”, che pare una stanza senza tetto, il palco è come abbracciato dal portico voltato a crociera e dai suoi archi a tutto sesto, un luogo perfetto per lasciarsi trasportare nel mondo fatato di Franzutti.

L’occasione è data da questa antica fiaba, che il coreografo Fredy Franzutti, dal 1995 fondatore e direttore della Compagnia di danza “Il Balletto del Sud”, rielabora, ispirandosi per il suo eroe al personaggio letterario “Conan, il barbaro”, protagonista dei racconti dello scrittore heroic-fantasy Robert Ervin Howard ed affidandosi per le scene a Francesco Palma, che sceglie i quadri di Franz Frazetta, abile disegnatore di Conan. Esistono varie versioni della fiaba: quella dei fratelli Grimm intitolata “L’uccello d’oro”, quella di Afanasjev’ “L’uccello di fuoco e il lupo grigio”, ma anche il poema “Il cavallino gobbo” del russo Pyotr Pavlovich Yershov del 1834. Una di queste certamente ispirò il giovane Igor Stravinskij, allievo di Rimskij-korsakov al quale, nel 1910, fu commissionata la partitura dall’impresario teatrale Sergei Diaghilev, fondatore della Compagnia dei Balletti Russi.

L’introduzione, cadenzata e solenne, sottolinea l’arrivo di Ivan Zarevic (Mattias Iaconianni), che giunge in groppa a quello che immaginiamo essere il suo cavallo, con il suo elmo cornuto e un fiero aspetto principesco, pur nella sua nudità, all’inseguimento dell’Uccello di fuoco (Nuria Salado Fustè), unica luce nella notte, appollaiato sull’ipotetico albero del male. Si dimena l’uccello dal piumaggio rosso, tenta di fuggire, elegante e delicato, muovendosi al ritmo delle veloci terzine suonate dagli archi, ma il prestante Ivan non lo lascia scappare. Ecco allora, che l’uccello ricorre ad un espediente, una piuma in cambio della libertà, così il principe, consapevole di aver ricevuto un dono prezioso, lo lascia andare. Intanto giungono le principesse, prima quattro, poi altre sei, e tra loro la principessa Zavierna (Alice Leoncini). I loro corpi paiono sincronizzarsi, poi, movimenti alternati e a specchio, seguendo schemi geometrici con regale grazia. Ivan è già innamorato e, superata l’iniziale diffidenza delle principesse che ostacolano il loro incontro, ha inizio un rituale d’amore, fatto di sguardi e di abbracci. Presto sale la tensione, sottolineata dai fagotti e dai tromboni e dal ritmo sincopato degli archi e delle percussioni: un esercito di mostri (principi pietrificati) dopo una dura lotta sconfigge Ivan, che ora giace a terra. Ecco allora entrare un enorme drago nero, lunghe dita di colore verde e volto bianco, grandi orecchie, come ali di pipistrello incorniciano un prominente naso aquilino. I suoi occhi parlano e la sua lingua sibila, muovendosi velocemente come quella di un serpente vicino alla sua preda. Ivan, a quel punto, estrae la piuma donatagli dall’Uccello di fuoco e blocca l’avanzare del mago immortale Kasej (Carlos Montalvàn), che esorta i mostri ad aiutarlo. Quest’ultimi, però, lentamente riacquistano le loro sembianze di principi e Ivan, dopo aver preso l’uovo, che secondo l’antica leggenda contiene l’anima del mago, lo getta a terra su consiglio dell’Uccello, e rompendosi, consente al “bene” di sconfiggere il “male”. Da Mikhail Fokine, che rivisitò lo stile del balletto ottocentesco, con l’introduzione di elementi del folclore e nuovi difficili passi, ad Adolph Bolm con le scene di Marc Schagall, poi, George Balanchine, Cranko, Skibine e ancora, Macdonald, John Neumeier, che ne fa una rivisitazione in stile fantascienza, mentre Maurice Bèjart nel’70 assurge l’Uccello di Fuoco a simbolo di libertà, fino a Fredy Franzutti, che nel 2007 trasforma il principe Ivan in un affascinante eroe moderno. Importante il ruolo del mago Kasej, che dal 2007 al 2010 sarà affidato all’indimenticabile Lindsay Kemp, attore, ballerino, mimo, coreografo, pittore e regista britannico (1938-2018); lo ricordiamo anche nel ruolo della fata Carabosse ne “La bella addormentata” dal 2005 al 2012, sempre con la Compagnia il “Balletto del Sud”.

Kemp in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2007 (vedi Sito Balletto del Sud), di Franzutti dirà: “Fredy mi piace perché è diverso dagli altri. È narrativo, usa bene costumi e scene, si diverte a fare uno spettacolo. La sua creatività è brillante e non conosce la noia. Mi piace dire che lui è mio figlio italiano. E sono una madre che non ha partorito molto. Uno in ogni nazione… più o meno” (Lindsay Kemp).

Nota di merito a Carlos Montalvàn, per il suo personale omaggio a Lindsay Kemp. Dunque, “L’Uccello di Fuoco”, un messaggio sul significato della globalizzazione e di quei confini, che, come nelle favole da raccontare ai bambini, fanno ancora paura, tanto da dover mettere dei soldati di guardia, come quelli delle scene di Palma. L’uccello è da sempre una creatura simbolica, gli antichi romani dall’osservazione del loro comportamento traevano buoni o cattivi auspici. L’uccello di fuoco è presente nella mitologia slava e appare simile ad un falco con la cresta, capace di emettere luce, come Raròg, demone del fuoco nella mitologia slovacca, ceca ed ucraina o “Fenghuang”, dai cinque colori e il cui corpo è dato dall’insieme di tanti uccelli, che nella mitologia cinese simboleggia la felicità, e ancora “Simurg” della letteratura persiana, il gigantesco uccello, la cui presenza è di buon auspicio; infine, la “Fenice” presente anche nelle leggende greche, gli egizi lo chiamavano Benu, l’uccello immortale, simbolo dell’eternità della vita, del sole ed in grado di risorgere dalle proprie ceneri o dalle acque per gli egizi.

Questo è il potere dell’Arte, che attraverso il suo peculiare esecutore, ancora una volta, ha evidenziato la capacità di “fondere” e “diffondere” culture e tradizioni, mescolando linguaggi e contaminando menti aperte, che, come luoghi senza confini, sanno accogliere nuovi saperi.