Salento & Dintorni – A Surbo, due finestrelle su una piazza che non esiste più

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Nella antica e non più esistente “piazza Castello” a Surbo (dal greco Soùrbon ad indicare la sorba, il frutto del sorbo, antica pianta comune e diffusa nel territorio), ad una manciata di minuti d’auto da Lecce, attirano l’attenzione due finestrelle, incastonate in un loggiato, tra due colonne e sormontante da piastrelle di colore bordeaux.

La facciata, dove alloggiano le finestrelle, è fuori asse rispetto all’ingresso del palazzo ed è caratterizzata da un balcone sorretto da tredici mascheroni, che si possono ritenere figure apotropaiche; mentre, altrettanti mascheroni si ritrovano nel portone, che è sovrastato dallo stemma dei Pepe Severino (famiglia napoletana che ereditò il feudo di Surbo per matrimonio).

Parliamo del Palazzo baronale, piccolo palazzo vicino la Chiesa di San Vito (anticamente dedicata al Salvatore, eretta nella prima metà del XVII secolo, con la sua facciata suddivisa in due ordini da una cornice a dentelli e termina con un timpano triangolare spezzato, che accoglie la statua del Cristo benedicente), che il Capitano Giulio Pepe, figlio del barone Livio, acquistò – per 500 ducati, unitamente al sottostante frantoio ipogeo e ad un terreno retrostante (che costarono altri 175 ducati) – nel 1645 da Fabio Strati e che attualmente, poiché di proprietà privata, non si possono visitare.

Il Palazzo era costituito originariamente da quattro stanze, una sala, un cortile, un giardino, una dispensa, una cucina e una cisterna, tutto costruito con pietra leccese delle cave di Surbo.

E’ presente – sotto il Palazzo e ad una profondità di circa 6 metri dal piano stradale – un frantoio ipogeo (un trappitu), di cui è traccia nel Catasto Onciario di Surbo del 1741, oggi abbandonato e di proprietà della Famiglia De Masi, tutto scavato nel banco di roccia, cui si accede dalla strada mediante una scala a rampa retta.

L’ipogeo ha una pianta mistilinea e si compone di un vano centrale e di altri 10 vani più piccoli; mentre, altri vani sono murati, il tutto probabilmente per una superficie totale di circa 100 metri quadri, anche se l’effettiva ampiezza non è misurabile, poiché è impedito l’accesso al frantoio da detriti che ne occupano buona parte.

Delle antiche attrezzature rimangono colonne per i torchi e plinti e sono ancora visibili camini, ormai chiusi; mentre, su uno stipite sono incise le tacche per contare le misure dell’olio.