L’opulenza e la crisi moderna

0
1020

OpulenzaÈ  sotto gli occhi di tutti che la nostra società ha superato abbondantemente la soglia della sopravvivenza materiale. Certo, non mancano casi limite di indigenza, ma questi costituiscono un fenomeno molto modesto. D’altro canto, molti sono coloro che devono ‘stringere la cinghia’ a fine mese, ma le condizioni minime di esistenza sono prerogativa dei più. Sotto altro profilo, va considerato che abbiamo i redditi più alti del mondo ed un patrimonio familiare che ci consentirebbe di vivere più di dieci anni senza produrre alcunché. E la crisi attuale non ha scalfito se non in maniera blanda, il livello del nostro reddito e la nostra disposizione ai consumi. Certamente, la situazione è grave per chi postula un reddito sempre crescente.

Voci oramai stridule di fronte al generale riconoscimento che come la vita umana anche quella economica ha un andamento sinusoidale, tra alti e bassi. La disoccupazione peraltro non è più un problema sostanziale per nessuno, se non solo sotto il profilo esistenziale e della propria realizzazione. I possessori di redditi sono perfettamente in grado di sostenere il difficile ingresso dei giovani nel mondo del lavoro ed affrontare le incombenze di chi deve, in età avanzata, riqualificarsi. E pare che il problema della disoccupazione verrà affrontato anziché creando più posti di lavoro, col reddito di cittadinanza.

Insomma, siamo ricchi e possiamo permetterci anche di lavorare poco! Ed il vero problema risiede proprio in questo. Il senso dell’esistenza acquisisce un significato soprattutto quando occorre costruire, raggiungere un obiettivo, un traguardo, una meta. E la nostra società ha raggiunto i traguardi che si era prefissati in termini materiali nel ‘700: condizioni di vita accettabili per tutti. Ed ora? Quali saranno i nuovi traguardi per la nostra società? Ma poi, il benessere materiale ha un valore salvifico? Sicuramente no. Che fare dunque?

In tale prospettiva, la politica oramai ha poco da dire. Nessuno dei partiti dell’arco costituzionale ha un progetto sociale, un orientamento se non dare più ricchezza ai ricchi ed efficientare la macchina dello Stato. Fino alla prima repubblica i politici proponevano schemi sociali diversi per il raggiungimento generalizzato del benessere materiale per la popolazione. Qui intellettuali e studiosi hanno avuto un ruolo determinante. Ma oggi? I politici che hanno da dirci? Che hanno da proporre? Nulla o poco più.

E la Chiesa, anche la Chiesa ha perso il suo ruolo sociale sotto il profilo etico ed escatologico. Il pluralismo religioso e la secolarizzazione hanno messo in crisi ciò che prima costituiva un punto fermo per l’uomo comune, che oggi è immerso e sommerso da un relativismo becero e falso, col risultato di creare ancor più confusione e caos spirituale, in una soluzione disarmante. Mancando il paradiso, ecco qui che la vita diventa fine a se stessa, senza conclusioni e mete. E persino la scienza fa fatica a dare certezze e orizzonti di un certo interesse. In tale prospettiva, anche i filosofi non trovano minimi comuni denominatori significativi.

All’uomo, il nostro uomo moderno opulento e disorientato, in cerca della felicità e del benessere, non resta che il ‘collezionismo’,  piccolo o grande che sia, a seconda della disponibilità di ricchezza. Così troviamo lo shopping e il tecnologismo compulsivi, viaggi in abbondanza, senza il senso della misura, conquista di posizioni di potere, con titoli e patacche di vario genere, senza un perché e reali contenuti, sesso immotivato, presenzialismo esasperato, senza poi parlare degli alcolisti e dei drogati. In tutto questo l’arte e la letteratura, come anche la poesia, paiono essere le spiagge cui approdare per la salvezza. Ma anche queste sono state contaminate dall’arrivismo e dal consumismo visivo, svuotandosi così di tutti i possibili contenuti, se non acquisendo solo una valenza terapeutica, per sopportare la vacuità di questa nostra esistenza.

Che dire dunque? Forse, che una delle possibili soluzioni all’illusoria ricchezza, quale salvezza, sia di rintracciare un sano epicureismo, dove prevalgano il senso della misura e della ponderazione incrociate alla forma, spazio della civiltà?