Cosa c’è di meglio di un caffè? “Un caffè in ghiaccio con latte di mandorla”, l’ultimo romanzo di Valentina Perrone

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Un caffe in ghiaccio con latte di mandorlaCosa c’è di meglio di un caffè…?”, cantava qualche anno fa un noto showman. Ed è proprio il caffè, momento privilegiato delle nostre giornate, il filo che lega gli undici racconti di questa bella e delicata raccolta di Valentina Perrone, Un caffè in ghiaccio con latte di mandorla (Edizioni Esperidi).

Il caffè preso al bar, il primo caffè della mattina, il caffè del pomeriggio, il caffè in ghiaccio con latte di mandorla, persino il caffè alla macchinetta, da soli, in compagnia del collega, della mamma, della vicina…: come in una galleria fotografica, l’autrice ci ripropone un aspetto del costume, un momento quasi rituale nella nostra quotidianità e nella vita delle protagoniste dei suoi racconti.

Sono storie di donne, quasi tutte dolorose e sofferte, dalla ragazza che, ancora adolescente, vive un amore impossibile, socialmente inaccettabile, a quella che fugge per paura di amare, a quella che prova a ripartire dopo le violenze subite. Ognuna di queste donne ha in sé una forza straordinaria, non scevra da una sensibilità e una fragilità tutte femminili; così, ad esempio, in Rosso intenso, la protagonista è una donna forte, con un matrimonio fallito alle spalle e una grave malattia che l’ha colpita e, tuttavia, lei non si arrende perché ”nella vita accadono cose che non ti aspetti, che ti afferrano corpo e anima e ti insegnano ad apprezzare gli attimi più di qualsiasi sogno sperato”.

Nonostante questa grande forza d’animo, la sua fragilità emerge quando, prima di un controllo medico importante, trepidante (così ci piace immaginarla) “apre il cassetto del coraggio, cercando di riempirsene il cuore”. Difficile è anche la vita della protagonista di un altro racconto, Incroci e segnali, triste storia di violenza domestica, da cui la donna si stacca con grande coraggio, portando con sé cicatrici indelebili.
Ma le storie raccontate da Valentina non finiscono male, hanno lo sguardo al futuro, perché, sembra dirci l’autrice, le donne sanno ricostruire e ricostruirsi; così la protagonista di Frammenti d’oro, che aiuta il marito a liberarsi dal terribile vizio del gioco, salvando la famiglia; così la donna che, in 24 dicembre, perdona l’errore di un uomo che la ama e che comprende di aver sbagliato.

Valentina Perrone è un’acuta osservatrice; con delicatezza e profondità scruta nei suoi personaggi, soffermandosi con leggera nostalgia sulla qualità delle relazioni e mostrando una certa insofferenza nei confronti della società dell’apparire, in cui siamo ossessionati dall’immagine, da “momenti di ovvia quotidianità che eleviamo a risultati impeccabili nella nostra corsa verso la vita”.

Ogni racconto narra una vita a sé stante, con le sue luci e le sue ombre; come negli interni di Hopper, troviamo solitudini e silenzi, di quei giorni che “sei nel posto di sempre ma è come se fossi altrove”. Al contempo, in queste donne, dalle vite così diverse (dalla sociologa alla maestra di danza, all’impiegata…) emergono degli elementi comuni, che percorrono tutta la scrittura dell’autrice; uno di questi è la salentinità, non intesa come ripetizione stereotipata di tradizioni. Nei racconti, ambientati fra Lecce e i comuni del Nord Salento, è indubbiamente presente il Salento con i suoi colori, gli odori, certe abitudini, ma vi è molto di più: la profondità delle radici, le relazioni familiari forti, la sacralità degli ospiti (e qui emerge, prepotente, l’immagine del caffè come momento di condivisione). Mirabile, in questa luce, è il racconto Attese, nel quale la protagonista, arrivata dal Nord, impara a conoscere il piccolo centro dove è andata a vivere e, attraverso l’amicizia inizialmente timida e poi senza riserve di un’anziana donna del paese, comprende che “certe distanze che spesso abitano nella nostra mente, diventano nulla appena si apprende anche solo un po’ della vita di chi abbiamo di fronte”.

Perché proprio questo titolo? Perché è proprio qui il cuore della raccolta: proprio come il caffè, il cui gusto amaro “si trasforma nella dolcezza squisita quando entra in contatto con il latte di mandorle”, per le donne protagoniste di questi racconti le difficoltà non impediscono la vita: “anche lì, dove la terra è arsa di acqua e luce, noi donne siamo in grado di far nascere nuovi germogli”.

I racconti sono scritti con linguaggio accurato; l’autrice evoca profumi, colori, sensazioni così che la narrazione, pur essendo fortemente introspettiva, cattura il lettore, trasportandolo nelle storie: leggendo, ci si trova seduti al tavolino di un bar, o in cucina nel primo pomeriggio, o nel soggiorno della vicina a scambiare due chiacchiere davanti a una tazzina fumante. La narrazione in prima persona conferisce una dimensione di interiorità alla raccolta e, nello stesso tempo, le diverse voci si uniscono, diventando un “io”corale, dalla forte valenza culturale e sociale, un omaggio e un richiamo alla dignità della donna.