Riflessi nell’anima – Domenica, 05 giugno 2022, solennità di Pentecoste

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Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.

Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».


Perché mai dovremmo amare il Signore? È un azzardo ciò che chiede Gesù ai suoi discepoli: «Se mi amate…».

In realtà, il Figlio dell’uomo si può permettere tanta audacia. È da sempre, infatti, che Dio ha mosso i suoi passi, per primo, per portare amore: i primi a sperimentarlo sono proprio i discepoli cui Gesù si rivolge, sono loro, infatti, ad aver sperimentato concretamente tale e tanto amore.

Si ama, dunque, come risposta a un amore che anticipa e previene. Si ama come risposta all’amore, in questo caso immenso e grande, il più grande amore possibile e immaginabile.

Amiamo Dio perché è Lui che per primo, in Cristo Gesù, ha amato noi (cfr. 1Gv 4, 10).

È amore che chiede concretezza, impegno, presa di posizione.

Non si ama Dio a parole, ma con i fatti e nella verità (cfr. 1Gv, 3, 18). L’amore, se pur nella sua genesi si avverte e si sperimenta come sentimento, non può restare aereo, imprigionato nell’alveo delle emozioni. L’amore chiede impegno, fatica, sudore, sacrificio. Probabilmente termini poco accattivanti per il modo di sentire di questo tempo, eppure, essenziali, anzi, necessari.

Amare significa, prima di ogni altra cosa, ascoltare la Parola. Questo è il comandamento che Cristo consegna ai suoi, a noi. La Parola ascoltata, accolta, vissuta e trasformata in vita diventa il modo più vero e più grande per sperimentare l’Amore di Dio e rispondere a cotanto amore. E come frutto, la Parola porta la Trinità dal Cielo al cuore dell’uomo, di ogni uomo e di ogni donna: «Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».

Amiamo Dio, allora, per diventare non suoi schiavi o sudditi, ma suoi intimi e legarci con Lui nel vincolo della Carità che libera la vita, che riempie la vita, che compie e realizza la vita.

«Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre».

Ecco il frutto dell’amore: il dono dello Spirito Santo. Non semplicemente un avvocato, un difensore, un ispiratore…, ma la forza dell’amore che attrae al Bene, il sommo Bene, che è Dio. È lo Spirito che attira presso il Padre, termine ultimo di ogni nostro andare.

Amiamo Dio, dunque, perché è Lui che ci attira a sé, ci porta con sé e in sé. Dove è la vera gioia, il vero compimento.