Quante Arie …

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Tra i tanti significati del sostantivo femminile “aria”, con riferimento alle forme musicali, si trova l’utilizzo per composizioni sia strumentali che vocali. Per il cultore e il musicofilo risulta interessante l’osservazione di quanto accade nella partitura perché permette di cogliere i diversi aspetti che interagiscono.

Oggetto di questa riflessione è l’aria come elemento principale dell’opera barocca.

Nel nostro Paese l’uso del termine aere o àire (dal latino aer) per indicare un modo di essere o un atteggiamento particolare risale al XIV secolo. Il termine, nel secolo successivo, indica un movimento della musica in funzione dei gesti del ballerino in ambito coreutico.

Sorvolando sull’uso strumentale e monofonico, ricordiamo una raccolta di composizioni per voce e basso continuo di Giulio Caccini, Le nuove musiche (Firenze, 1602) ove egli chiarisce la corretta interpretazione della monodia inserendo quei passaggi funzionali al pathos che deve trasmettere l’esecutore.

Focalizzandosi sull’aspetto emozionale e sul coinvolgimento dell’ascoltatore, si propone come esempio, ascrivibile al concetto di varietas, un’aria del Settecento dalla struttura tripartita, la cosiddetta «aria col da capo» (A – B – A′), modello che, già dalla fine del secolo precedente, andava sempre più affermandosi nell’opera italiana. È proprio nel Da Capo (A′), dove si ripete la prima parte dell’aria, che l’interprete inserisce abbellimenti (in genere improvvisati) che variano il melos dando al contempo sfogo al suo ‘virtuosismo’. Altro particolare interessante da sottolineare è la reiterata (variata o meno) presenza del motivo iniziale (nell’esempio che segue corrisponde alle prime otto battute) che se da un lato si inserisce nell’ alternanza motivica (refraincouplet) della forma rondò, dall’altro apre verso quella dialettica dei temi all’interno delle forme sonatistiche.

L’aria qui presentata è Lascia ch’io pianga tratta dall’opera Rinaldo di Georg Friedrich Händel, su libretto di Giacomo Rossi. L’argomento, abbastanza intricato anche dal punto di vista drammaturgico, prende ispirazione dalla Gerusalemme Liberata del Tasso.

Siamo nel Secondo atto (scena IV: Giardino delizioso nel palazzo incantato d’Armida). Dopo il Recitativo tra Almirena (promessa sposa di Rinaldo) – rinchiusa nel palazzo della maga Armida – e Argante (re pagano e amante di quest’ultima), ma innamorato della bella Almirena, la giovane cerca

di dissuaderlo dalle intenzioni tentatrici, ribadendo di lasciarla piangere per ciò che le sta capitando, dando inizio all’intonazione dell’aria:

A B A′
Lascia ch’io pianga / mia cruda sorte, / e che sospiri / la libertà. Il duolo infranga /queste ritorte, / de’ miei martiri / sol per pietà. Da Capo

Dalla sonorità degli archi e del basso continuo (tutto nel pianissimo), si erge un canto, quasi un lamento (Largo), in Fa maggiore. Questa tonalità, spesso concepita per ‘quadretti bucolici’, qui concorre al risultato complessivo di offrire un’espressività sublime anche grazie alla coinvolgente interpretazione del soprano Roberta Invernizzi e del Ghislieri Consort.

 

Compositore, Direttore d’Orchestra, Flautista e Musicologo. Curioso verso ogni forma di sapere coltiva l’interesse per l’arte, la letteratura e il teatro, collaborando con alcune riviste e testate giornalistiche. Docente presso il Conservatorio di Perugia, membro della SIdM (Società Italiana di Musicologia), socio dell’Accademia Petrarca di Arezzo, dal 2015 ricopre l’incarico di Direttore artistico dell’Audioteca Poggiana dell’Accademia Valdarnese del Poggio (Montevarchi-Arezzo).

1 COMMENTO

  1. Piena condivisione della descrizione che il maestro Dell’Atti fa del canto che diventa quasi un “lamento” sublime. Un ringraziamento per aver descritto così accuratamente l’aria come “elemento principale dell’opera barocca” con un riferimento specifico al nostro Paese.

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