L’umorismo è un credo

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Chi si affida all’umorismo nel proprio modus vivendi oggigiorno? Tutti e nessuno! Ciascuno ha fretta di vivere e rimanda il sorriso, le cellule responsabili dell’intrattenimento scherzoso sono sconfinate in qualche parte della scatola cranica. “Nulla da ridere”, “Mi fai ridere”, E’ cosa da ridere”, sono frasi ricorrenti, talvolta pronunciate con distacco serioso. Ma ridere fino a farsi male alla pancia, no? Che dire dell’umorismo che tiene banco sul piccolo schermo, pensiamo alle gag del Salone Margherita, ovvero il Bagaglino a Roma di fine secolo, un carosello umoristico con attori comici di tutto rispetto, un vero termometro della sagacia  della risposta umoristica, come prova l’indice d’audience registrato.

C’è da dire che il puntuale buonumore inchiodava migliaia di telespettatori ai divani nelle case italiane. Ma lo humor risale ad un passato remoto e studiato visitato e ri-visitato dalla psicologia da tempi non sospetti. L’esagerazione veniva esperita e rappresentata in quadretti  che destavano l’ilarità degli appassionati e dei pensatori. Questo spirito ha  fatto dello humor una bandiera da agitare nel sicuro intento di divertire e di rimanere citati negli annali degli studi compiuti sulla tematica umoristica. Si rammenta un esempio di iperbole, di ridondanza, di “rincaro” condensato in tale racconto: ”Il re si degna di visitare una clinica chirurgica e trova il professore intento a eseguire l’amputazione di una gamba. Egli commenta le singole fasi dell’operazione esprimendo ad alta voce il suo reale compiacimento. “Bravo, bravo, mio caro Consigliere!” A operazione conclusa il prof gli si accosta e, inchinandosi profondamente domanda: “Vostra Maestà ordina che si proceda anche con l’altra gamba?” Gli elogi del sovrano rallegrano lo zelante chirurgo ed al tempo stesso intimidiscono il fedele suddito. L’esemplificazione mette in rilievo la deferenza e la compiacenza che rendono ridicolmente dipendente la figura del prof da un eventuale capriccio del re (l’amputazione della gamba sana) fino ad offuscare la deontologia del medico.

Questa interpretazione fa del chirurgo una umile pedina della volontà del sovrano. Il medico disposto a tutto pur di compiacere l’autorità è tuttavia opposta a quella elaborata da Freud, il padre della psicoanalisi. Egli infatti coglie nella domanda del chirurgo una disposizione ironica e graffiante verso il re, sotto un’apparente veste di accondiscendenza e di ossequio. Questo stralcio di storia rimasta in qualità di documentazione sull’umorismo, quale tecnica, se si vuole, anche avente valore di ragionamento razionale si basa principalmente sull’emotività. Dunque ragione e sentimento insieme rendono il credo dell’umorismo una regola nella vita dell’individuo di ogni censo, cultura e di collocazione geografica, quindi appagante e assoluta.