Donna libera o ancora prigioniera del ruolo?

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Per giungere appieno al significato dell’emancipazione femminile non ci si può astenere dalla ricerca delle emozioni nascoste nell’animo maschile. Esse sono funzionali alla sopravvivenza e quando languono l’uomo arriva a sperimentare il vuoto.

Fondante per l’equilibrio socio-psico-emotivo è il soddisfacimento nell’attività lavorativa.

L’inidoneità a dedicarcisi particolarmente produce un senso di isolamento e depressione e ancora per di più andare in pensione rappresenta per molti uomini una soglia assai critica. La difficoltà a conservare l’identità maschile e ad elaborare il lutto per il vissuto della  perdita del lavoro o dell’abbandono della propria partner per motivi sociali agli uomini appare assai arduo, pena l’evitamento del confronto con gli altri.

Più di una volta abbiamo citato il libro di Stephen R. Covey “I sette pilastri del successo” edito da Bompiani; nel volume si trova una “ricetta” per la felicità sia per la vita per così dire emozionale e affettiva che per quella che ha la valenza sociale della persona che sperimenta il suo “potentato”. Non si può accantonare la realtà sociale a due nella disamina del confronto se si vuole arrivare a spiegare il perché la donna per liberarsi dal “ruolo” è ricorsa ad analizzare ogni impatto con tutte le figure del suo contesto psicosociale. Se ella non è felice nonostante un’ ottimale realizzazione pubblica è da rivedere dunque tutto nella relazione con il compagno. E’ ovviamente tutto ciò detto chiarisce tante cose e  criticità che se risolte hanno una ricaduta positiva sul rapporto e pertanto sull’identità femminile. Una volta compresa la dinamica dell’evoluzione maschile nel largo senso della parola avremo anche la donna non più legata a compiti e ruoli unici e insostituibili così come quello di regina della casa e basta.