Gioachino Rossini, un imperatore della musica del suo tempo

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«Dopo la morte di Napoleone c’è stato un altro uomo del quale si parla ogni giorno a Mosca come a Napoli, a Londra come a Vienna, a Parigi come a Calcutta. La gloria di quest’uomo non conosce limiti, se non quelli del mondo civile, ed egli non ha ancora trentadue anni! Tenterò di tracciare un abbozzo delle circostanze che lo hanno collocato, così giovane, a tanta altezza».

Sono parole di Stendhal tratte dalla sua aneddotica Vie de Rossini (1824) ove non nasconde la difficoltà nel redigere la biografia di un uomo ancora in vita.

Proprio nello stesso anno il compositore è nominato directeur de la musique et de la scène al Théâtre – Italien avendo già ricoperto (1815 – 1822) l’incarico di direttore musicale al Teatro San Carlo di Napoli e composto lavori come L’italiana in Algeri, Semiramide, Otello, Tancredi, Il turco in Italia, Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola, La Gazza ladra, ecc.

Lo stesso Mazzini non ebbe dubbi ad esprimere con entusiasmo il suo giudizio: «Rossini è un titano. Titano di potenza e d’audacia. Rossini è il Napoleone di un’epoca musicale».

La sua arte e le diverse innovazioni al genere dell’opera verranno raccolte dai compositori di epoca successiva e molti cercheranno di imitarlo senza mai raggiungere il suo livello.

Dopo le novità stilistiche e il successo del Guillaume Tell (1829), il Cigno pesarese, che vive già da molti anni a Passy vicino Parigi, vivrà ancora per altri quarant’anni circa rinunciando ad intraprendere una nuova stagione artistica, ma scegliendo di rimanere un compositore “classico”. Il nomignolo di «tedeschino» attribuitogli negli anni di studio presso il Liceo musicale di Bologna alla scuola di padre Mattei, allievo quest’ultimo, a sua volta, del grande padre Martini, in realtà era dovuto allo studio profondo di Haydn e Mozart, quasi testimonianza di fede verso i due classici viennesi.

Rivolgendosi ad Andrea Maffei confessò che: «Scrivevo opere quando le melodie venivano a cercarmi e a sedurmi, ma quando capii che toccava a me andarle a cercare, nella mia qualità di “scansafatiche” rinunciai al viaggio e non volli più scrivere»; non valsero nemmeno le raccomandazioni di Beethoven: «Continui a scrivere opere buffe», genere a lui molto congeniale.

Rossini smette di scrivere per il teatro musicale orientandosi a comporre musica da camera da salotto e grandi capolavori della musica sacra. Nascono così le Soirées musicales (1830 – 1835), composte su testi di Metastasio e di Carlo Pepoli; seguiranno i Péchés de vieillesse, chiamati scherzosamente dal compositore Peccati di vecchiaia. Poi il commovente Stabat Mater e, a pochi anni dalla morte, la Petite Messe solennelle, definita dal compositore «ultimo peccato mortale della mia vecchiaia», rappresenta il suo testamento e un grande monumento alla musica sacra.

Ancora oggi i suoi lavori continuano a sedurre, a divertire, ad emozionare, a tenerci inchiodati nei vertiginosi e coinvolgenti “crescendi”, perché a parlare è il cuore.

Il segreto di tutto ciò, probabilmente, è rintracciabile nello stesso monito del compositore: «Ponete ben mente che l’espressione della musica non è quella della pittura, e che non consiste nel rappresentare al vivo gli effetti esteriori delle affezioni dell’animo, ma nell’eccitarle in chi ascolta […] Il magistero del compositore […] consiste nel disporre dinnanzi alla mente le scene […] le situazioni principali del suo melodramma, nel considerare le passioni, i caratteri più rilevanti, la natura di esso, lo scopo morale, la catastrofe. Dee quindi adattare con arte il carattere della musica al soggetto drammatico, e trovare un ritmo nuovo».