La festa della vendemmia

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In questo periodo, concluse le vacanze estive, ognuno sta rientrando al proprio lavoro ed intanto in molte zone del Salento, terra anche a vocazione vitivinicola, è iniziata la vendemmia. Ancora una volta si ripetono gesti che risalgono alla notte dei tempi; un appuntamento annuale in cui si raccolgono uve, dopo un lungo e faticoso lavoro in campagna, per la produzione dei grandi vini, come l’autoctono Negroamaro (Niuru Maru).

Per chi ha vissuto quell’esperienza, i ricordi affiorano quando, ancora giovanissimi, i primi di settembre, in tanti, muniti di forbici e di cesti, andavamo a vendemmiare. Si iniziava prima che spuntasse il sole, quando le piante erano ancora bagnate dalla rugiada mattutina, per poi smettere (scapulare) nel primo pomeriggio. Ognuno – posizionato nel proprio filaru, quasi come tanti atleti in pista – procedeva alla raccolta con una certa andatura recidendo il grappolo, sostenuto con l’altra mano, per poi adagiarlo nella cesta.

Riempito il proprio contenitore, si svuotava nelle canisce o nelle tine (tineddhre), sparse tra i filari e, una volta riempite, erano caricate sulle spalle delle persone più robuste per svuotarle nelle cofane, o altri contenitori, posizionati sopra un carro, o sui traìni.

Il rito continuava con la pigiatura ad opera di altre persone, generalmente giovani a piedi nudi, che schiacciavano (stumpane) gli acini affinché far uscire il pregiato succo. Tra gli stumpaturi, a volte, non mancavano ragazze che, alzandosi il vestito o i pantaloni, si dimenavano a pigiare i chicchi attirando, in certi momenti, i tanti ragazzi come api su un prato in fiore, mentre le donne approfittavano per badare ai bambini e/o raccogliere insalata di campo (fóje e zanguni).

Tutto ciò rappresentava anche momento di socializzazione e/o di incontro, pur essendo, in genere, in famiglia o tra amici e/o conoscenti.

Un modo per verificare il tempo trascorso, oltre che dai rintocchi delle campane del paese più vicino, consisteva nel guardarsi indietro verificando il tragitto effettuato, rispetto alla partenza. Intanto le ore passavano tra profumi, sapori e i colori diversi della giornata, coinvolti nei canti e nei racconti (culacchi) con il sottofondo delle forbici e del ronzio di qualche vespa attirata dal dolce frutto. Poi una breve pausa per un pasto frugale, integrato con qualche frutto (tutto ciò che la campagna offriva), e via per l’ultima fase della giornata, vera festa come evidenziano i versi di Marino Moretti che in qualche modo ripercorrono la prosa.

Nei campi è tutto un bagliore, / di grappoli d’oro, di falci, / tutto un gioire di tralci/ che ostentano qualche rossore. Nei campi è tutta una festa/ di luci, di ombre, di canti:/ ridon gli sguardi esultanti/ per tanta messe rubesta.

S’alzan gli accenti sonori/ delle più gaie canzoni/ dai verdi rossi festoni/ e dagli intrepidi cuori.
E s’ode insieme una schiera/ di donne cantilenare/ nel breve cielo che pare/ un cielo di primavera. (Vendemmia (da Sentimento,1907)

Ora si percepisce tutto ciò che succede nei campi rivivendo più autenticamente il clima della festa e/o addirittura «un cielo di primavera», pur non nascondendo, nostalgicamente, quel tempo «passato che più s’ama […] ovvero quello che più nel nostro cuor parla e si lagna» con il quale tutti dobbiamo relazionarci.

Compositore, Direttore d’Orchestra, Flautista e Musicologo. Curioso verso ogni forma di sapere coltiva l’interesse per l’arte, la letteratura e il teatro, collaborando con alcune riviste e testate giornalistiche. Docente presso il Conservatorio di Perugia, membro della SIdM (Società Italiana di Musicologia), socio dell’Accademia Petrarca di Arezzo, dal 2015 ricopre l’incarico di Direttore artistico dell’Audioteca Poggiana dell’Accademia Valdarnese del Poggio (Montevarchi-Arezzo).

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