L’umanità dei personaggi nella visione di Toti Bellone

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Il mondo della letteratura e della cultura non si è fermato e anche in questo periodo così difficile vedono la luce nuove opere ove, spesso, i personaggi che popolano i racconti diventano protagonisti autentici del ricordo come dono della memoria.

Cercando di custodire traccia di esperienze vissute viene in soccorso la psicologia, “ricordandoci” che proprio grazie alla memoria a lungo termine possiamo richiamare ricordi persino dopo molto tempo, evitando così l’oblio.

Se condividiamo quanto sostiene Kierkegaard: «Un fatto nella vita che sia ricordato, è già entrato nell’eternità» sembra che i fatti e i personaggi all’interno dei trenta brevi racconti (autentici tableaux) racchiusi nel volume La fitalòra, edito da Besa editrice e con introduzione di Carlo Alberto Augieri, abbiano la medesima aspirazione. Si tratta dell’ultima fatica letteraria di Toti Bellone, giornalista professionista e scrittore leccese, amateur des livres che, attraverso una narrazione sincera (metafora del “diario”), realizza un autentico “canto” alla sua terra natìa, il Salento.

Sfogliando il volume si incontrano molti nomi della toponomastica, dal capoluogo ai piccoli borghi come la singolare Acaya, oltre a vie, palazzi, piazze, compresi luoghi che non esistono più e il loro pullulare, unitamente ad un’amena esposizione, dona al lettore, attraverso la fantasia, la sensazione di essere presente.

Quasi un invito per tutti, per dirla con Umberto Eco, riaffiora un mondo fatto di emozioni e di arricchimento interiore perché: «chi non legge, a settanta anni, avrà vissuto una sola vita, la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinità, perché la lettura è un’immortalità all’indietro».

In alcuni momenti la percezione dell’autore, quasi rifacendosi alla filosofia antica, diventa anche conoscenza della propria interiorità ove possono vibrare corde sensibili che arrivano a coinvolgere tutta una molteplicità di sensazioni fino ad inoltrarsi nell’inconscio.

Nel raccontare, con autentico pàthos, non si trascura l’utilizzo di idiomi dialettali che in alcuni tratti rimandano ad una pluripercezione, senza nascondere echi nostalgici e pennellate di umorismo come accade nel divertente Concerto in inglese maccheronico che vede coinvolto il giovanissimo Toti in un complesso musicale.

Le figure, spesso abbozzate nella loro “verginità” e autenticità, sono tratteggiate come protagonisti di una terra e di un passato dalle tradizioni e dai valori senza tempo. Una sorta di galleria di uomini illustri e non, una carrellata lunga e interessante ricordata spesso con nomignoli in dialetto, evocandone altri, ben più lontani nel tempo e in contesti diversi, come quelli scaturiti dalla penna di Giovanni Verga. A differenza dello scrittore siciliano, in Bellone il destino avverso talvolta si concretizza nella fitalòra, un «vento sghembo» che distrugge, per esempio, il lavoro di Antonio, un contadino caparbio, che ben ricorda il detto latino flectar ne frangar.

Segnalo alcuni tipi che, per vari aspetti, rappresentano l’emblema autoctono del Salento: il maestro Francesco Delle Site, ovvero mesciu Cicciu, artista di pupari il quale, attraverso l’uso della creta, riesce ad “impregnare di vita” le sue opere; l’Ucciu lengu dall’alta statura, detto anche il “Tedesco” per aver vissuto in Germania o nella Svizzera tedesca; lu Totu te le patelle, abile artigiano senza bottega che ripara le pentole e poi ancora Giulia te le chiai, Maria te li musci, Lu Millelire, Lu sparafucili e tanti altri.

Non mancano artisti come il pittore Ezechiele Aleandro, definito dai più naïf o primitivo, nei confronti del quale l’autore si erge a paladino, difendendolo dai detrattori, considerandolo artista originale e auspicando la nascita di un museo nella sua casa, apostrofata da molti il “santuario della pazienza” o dei “mostri”.

Il descrittivismo dei personaggi diventa quasi una serie di fotogrammi come nel ricordo del passaggio, tra le vie del centro cittadino, dello scrittore e poeta leccese Vittorio Pagano che, agli occhi del giovane Toti, fa riemergere il ricordo di un uomo con «le mani in tasca e l’immancabile basco – per non dire della sigaretta fra le labbra -, rasente l’ingresso della Galleria […] diretto verso l’hotel President».

Inoltre, l’autore sembra assolvere, a tratti, al compito dell’historicus riportando azioni e fatti e, benché coinvolto in prima persona, non rinuncia alla ricerca della verità (aletheia) che gli deriva dalla professione.

Un altro aspetto interessante è la serie di rimandi culturali che sottolineano la curiositas di Bellone e, in alcuni casi, l’architettura dell’intreccio trova legami in opere e in linguaggi apparentemente lontani. Un esempio fra tutti è La ruota delle suore di clausura ove il passo: «Alle Elementari andavamo a scuola col grembiule azzurro e il fiocco largo dello stesso colore» è presente anche nel finale come nostalgia del passato o desiderio inconscio di infinito. In sostanza è sotteso un rimando al principio compositivo rintracciabile in Ma fin est mon commencement, et mon commencement ma fin, un rondeaux di Machaut (XIV sec.) ove è possibile avere versificazione e musica in retrogrado.

Per dirla con Dante, nel volume troviamo «quelle parolele quali sono scritte ne la mia memoria».

Ma nella memoria non manca spazio per eventi più recenti. Nel 2019 ad Alessano, in piazza Castello, Bellone ha potuto ascoltare il “suono sublime” di uno Stradivari del 1723 suonato dal salentino Alessandro Quarta e il mandolino dell’alessanese Antonio Calsolaro nell’interpretazione della Tarantella del Gargano.

Invito alla lettura di questi brevi racconti, certo della possibilità per tutti di approdare ad un “porto sicuro” e di avvicinarsi ad un uomo sensibile che continua ad “attraversare” una vita colma di umanità.

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Compositore, Direttore d’Orchestra, Flautista e Musicologo. Curioso verso ogni forma di sapere coltiva l’interesse per l’arte, la letteratura e il teatro, collaborando con alcune riviste e testate giornalistiche. Docente presso il Conservatorio di Perugia, membro della SIdM (Società Italiana di Musicologia), socio dell’Accademia Petrarca di Arezzo, dal 2015 ricopre l’incarico di Direttore artistico dell’Audioteca Poggiana dell’Accademia Valdarnese del Poggio (Montevarchi-Arezzo).

1 COMMENTO

  1. recensione stupenda !
    mi piace molto la frase:
    Quasi un invito per tutti, per dirla con Umberto Eco, riaffiora un mondo fatto di emozioni e di arricchimento interiore perché: «chi non legge, a settanta anni, avrà vissuto una sola vita, la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinità, perché la lettura è un’immortalità all’indietro».
    Leggere è …..e deve essere parte di noi
    linfa di vita.
    Per una trapiantata al nord che legge questi libri è come fare un salto al paesiello per trascorrere una giornata li ..e poi poterlo fare ancora e ancora.

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