“Ius scholae” cambierebbe la vita a migliaia di stranieri, ma il governo è diviso

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Mercoledì 29 Giugno in Parlamento ha avuto inizio la discussione della proposta di legge che mira a modificare l’attuale normativa sull’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di un cittadino straniero. Dopo vari tentativi nel corso degli ultimi anni, tutti rimasti lettera morta, l’Assemblea di Montecitorio si appresta ad esaminare il testo che introduce lo ius scholae( dal latino “diritto in base alla scuola”) . Il testo in esame darebbe la possibilità di richiedere la cittadinanza per un minore straniero dopo il compimento di almeno un ciclo scolastico di 5 anni. L’iter del provvedimento è stato lungo e non privo di ostacoli: contro la proposta di legge – sostenuta da centrosinistra e M5s – si sono schierati sin dall’inizio Lega e Fratelli d’Italia, mentre Forza Italia inizialmente ha votato a favore in occasione dell’adozione del testo base, per poi votare contro quando la commissione Affari costituzionali ha licenziato il provvedimento per l’Aula. Durante l’esame in commissione il testo base ha subito delle modifiche, con l’approvazione di ben quattro emendamenti: l’aggiunta della necessaria conclusione «positiva» dei 5 anni di scuole elementari, la possibilità che siano considerati anche i percorsi di formazione professionale per la richiesta della cittadinanza, l’eliminazione del requisito della richiesta presentata da entrambi i genitori (è sufficiente che la domanda sia inoltrata da uno solo dei genitori) e, infine, l’eliminazione dal testo del requisito della residenza in Italia «ininterrotta».

A favore dello ius scholae ovviamente il Pd che l’ha proposto, ma anche tutta l’area di centro sinistra. Contrario il partito di Giorgia Meloni che lo considera una perdita di tempo. La battaglia del centrodestra si è ora spostata alla Camera. In settimana si inizieranno a votare i testi. Bisognerà trovare una mediazione e comprendere se si vorrà favorire l’integrazione ponendo al centro la dimensione scuola. Attualmente, come è noto, in Italia vale lo ius sanguinis (è italiano chi nasce da almeno un genitore in possesso della cittadinanza e ne «eredita il sangue») e gli stranieri che arrivano nel Paese, possono chiedere la cittadinanza per naturalizzazione solo dopo 10 anni di permanenza continuativa sul suolo italiano. I loro figli, invece, devono aspettare il compimento della maggiore età, dimostrando di aver vissuto ininterrottamente qui dalla nascita. L’approvazione dello ius scholae cambierebbe la vita a migliaia di stranieri, circa 23 mila, residenti in Puglia e in Basilicata. Considerando il Censimento permanente della popolazione dell’Istat al 1° gennaio 2021, in Puglia ci sono 134.440 stranieri e rappresentano il 3,4% della popolazione residente. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dalla Romania con il 22,2% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dall’Albania (16,2%) e dal Marocco (7,9%).

A fronte degli scaglioni di età utilizzati dall’Istat, si nota che la maggioranza dei bambini stranieri ha un’età compresa tra i 5 e i 9 anni(7.331) . Invece, gli stranieri residenti in Basilicata al 1° gennaio 2021 sono 22.011 e rappresentano il 4,0% della popolazione residente. E, come nel caso della Puglia, la comunità straniera più numerosa è quella proveniente dalla Romania con il 34,3% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita da Albania (10,6%) e Marocco (8,6%).

Ad oggi, lo Stato italiano garantisce ai minori stranieri diritti fondamentali, come l’accesso all’istruzione di ogni ordine e grado e alle cure sanitarie.Possono crearsi comunque situazioni in cui ci sia una disparità di trattamento tra un minore cittadino italiano e un minore straniero, ma queste non hanno a che fare con i diritti fondamentali.

 Secondo i partiti che si battono perché dopo trent’anni venga riformata la legge 91/92, basata sullo ius sanguinis, lo ius scholae è solo un primissimo passo. Non è la legge di riforma completa che avrebbe dovuto rivedere anche la parte di naturalizzazione per gli adulti (ad oggi sono previsti dieci anni di residenza ininterrotta sul territorio e un reddito minimo pari all’assegno sociale annuale), eppure per tutti rappresenta l’ultima possibilità di cambiare le regole per l’acquisizione della cittadinanza.