L’ultima notte al mondo

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Lui, lei, l'altraOrmai le ombre si erano accorciate, sfiorate da un sole veloce e stanco che aveva fretta di riposare oltre l’orizzonte. L’aria al tramonto diventava fresca e faceva pensare ad autunni antichi, di quelli pieni di volti andati via da tanto tempo. L’intimità di una casa, quella paterna, in cui la mamma e i figli aspettavano che il papà, chiusa bottega, tornasse ad abbracciarli col suo afflato protettivo e invincibile. La ricostruzione perfetta di un quadro caldo e consolante. Fotogrammi di un tempo che non sarebbe più tornato, tra pena e nostalgia.

Tra ricordi tanto vivi che li potevi toccare e lontananze che sembravano abissali. Lui cominciò a raccogliere le sue cose sparse qua e là sulla scrivania dello studio. Guardò un’ultima volta l’elenco delle cose da fare il mattino dopo, spense il computer e le luci delle stanze. Si avviò alla porta d’ingresso e fu assalito da quei brividi che ti fanno desiderare di essere a casa, con la tua famiglia. Si immaginò sua figlia che correva ad abbracciarlo, sua moglie alle prese coi fornelli a preparare una buona cena per tutti loro, suo figlio nella stanza a studiare, i cani festosi a saltellare felici.

Un universo sereno. Casa. Era riuscito a riprodurre l’esempio di suo padre, migliorandolo. Era fiero di sé. Lo fu per qualche istante. Poi pensò a lei, e la tristezza lo avvolse come una nebbia fitta, infiltrante, suggestiva e fastidiosa. Chissà se anche suo padre, mentre aspettava di tornare a casa ad abbracciare tutti loro, era stato mai ferito dal pensiero di una donna che non era sua moglie. Chissà se anche nella sua vita c’era stato quel sorriso estraneo e intimissimo carico d’amore per lui, chissà se suo padre si era distratto dal progetto originario. E soprattutto chissà se il suo progetto originario era davvero quello che poi era riuscito a realizzare e non piuttosto quello pieno di quell’altra donna che occupava i suoi pensieri quando scendeva la sera e la luce tenue dei lampioni di un piccolo paese copriva volti e maschere, e metteva in primo piano il ricordo di un amore che non era mai finito. Che non si era mai realizzato. Che non era mai stato progetto.
Scacciò dalla mente l’idea che suo padre potesse essere stato un falso traditore e sua madre un ripiego, così come i figli. Lui e suo fratello. Eliminò quel pensiero con giustificazioni elementari. I figli sono sacri, non si mettono in dubbio mai. In realtà si dovrebbe essere sempre sicuri delle proprie scelte. Soprattutto di quelle che possono essere definitive. Ma gli esseri umani non hanno certezze. Vivono in bilico sfiorati da troppe frecce, tra confusioni esistenziali e doni inaspettati. Tra inferno e paradiso, ragione e cuore.
Cominciò a sentire freddo, ormai era sera.

Lui che cos’era, un falso traditore? No, lui era succube di un sentimento non voluto, non cercato, non inseguito. Lui era un falso traditore? Sì, perché l’idea di quegli occhi non lo abbandonava mai. E di quelle parole, di quelle mani, dei respiri, delle carezze. Roba che somigliava alla magia. Un filo invisibile e indistruttibile che dava gioia, emozione, follia e felicità. Lui, quel battito infinito lo sognava, lo cercava, lo voleva, se lo prendeva senza sosta. Fuori e dentro sé. Si immaginò due universi. Il suo e quello della donna con gli occhi pieni d’amore. L’altra. Anche lei alle prese con fornelli, figli e gatti. Anche lei coi suoi perché, le sue ombre e i suoi momenti tristi e freddi. I ricordi di loro due insieme come la frangia inutile di un asciugamano prezioso. Bella, con gli intrecci, con i ricami. Ma inutile. La pensò chiusa a riccio in quel tormento, mentre ascoltava musica e piangeva, incapace di trovare una spiegazione logica a quello che stava vivendo. Che stavano vivendo. Prigionieri entrambi delle loro scelte. Sofferenti e tristi. Carnefici di loro stessi. Ostaggi non negoziabili. Cadaveri in attività. Amori in cattività. Felici, feriti.
Entrò in casa sorridendo, tornò ad indossare la maschera. Tutto bene. Sua moglie non si accorse di quella nuova ruga tra le pieghe delle labbra e il cuore. Perché doveva sforzarsi di cercare un dolore? Lui cenò insieme a loro. Soliti gesti, soliti riti. Due chiacchiere, due risate e il coltello di un’idea che entrava nella carne indurita dalla ferrea volontà di una scelta obbligata. Giusta.
Un lampo balenò nell’aria e il tuono che seguì amplificò quelle sensazioni di disastro imminente. La rottura di un equilibrio. Il temporale in lontananza borbottava come un vecchio non rassegnato alla fine. Come lui. Che abbracciò i bambini con il suo sorriso migliore e li accompagnò verso i sogni dolci di una nuova notte insieme. Poi andò a letto con lei, la donna con cui aveva scelto di vivere l’esistenza. L’altra in un attimo divenne parentesi chiusa. Sotto le lenzuola sentì un vuoto incolmabile, ma si girò e bacio quelle labbra così familiari, fraterne quasi. Il vento muoveva le foglie degli alberi in giardino e a lui sembrò di sentire la voce dell’altra che lo chiamava. Impossibile, si disse, sto vaneggiando. Accarezzò sua moglie, la tenne stretta a sé in una muta preghiera d’aiuto e di perdono. Lei si era già addormentata, serena tra quelle braccia amate. Lui si odiò come non mai. E finalmente pianse. Per sé stesso e per le catene dorate che lo tenevano prigioniero in un luogo dell’anima che non era più suo. Per quella donna, l’altra, che gli scorreva nel sangue e nelle lacrime. Per i rimpianti e le nostalgie inquietanti e devastanti di una storia non vissuta. Per suo padre e sua madre che l’avevano cresciuto a baci e cene d’amore. Per la luce crepuscolare che si era infilata nei suoi occhi e non voleva andarsene. Per le notti di stelle e sogni appena sfiorati.
Pianse perché l’amore aveva scelto diversamente da lui. E lui non poteva farci proprio nulla.

Intanto il temporale aveva raggiunto un cielo distante. L’altra chiuse le finestre. La pioggia aveva inondato la strada e aveva lavato illusioni e aspettative. Accarezzò i suoi gatti che sonnecchiavano beati nella cesta. Poi andò a letto anche lei. Sarebbe stata una notte lunga. Di finta indifferenza e segreti. Di sogni persi per sempre. Un nuovo lampo squarciò il cielo. Il buio divenne totale. Tiziano Ferro, dall’Ipad, cantava “L’ultima notte al mondo”.

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Redattrice Paisemiu.com

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