Il “gioco” dei bimbi ucraini

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Prendo al volo quel che posso! Prendo la mia infanzia e la porto via, scegliendo tra tutto ciò che mi ha reso felice. Per me è come un gioco, papà dice di mettere nel mio zainetto ciò che più mi rende sereno: un pupazzo? La mia copertina? Forse un video game? Non so! Ho poco tempo, non riesco a decidere, cosa mi farebbe più felice avere? Papà dice che ritorneremo a prendere tutto qui in casa, ma ora devo decidere tra le poche cose da portare con me. Di cosa avrò bisogno lì dove stiamo andando? Ma poi, dove stiamo andando? Papà dice che andremo a stare per un po’ con altre persone, con altri bambini; dice che ci divertiremo perché ci saranno tanti fuochi in città, a festeggiare la riunione con il nostro popolo, il popolo ucraino; saranno giorni di gran festa, ma noi i fuochi non potremo vederli, perché festeggeremo chiusi in una grande stanza senza finestre, sarà una festa ”intima”, dice papà. A me il rumore dei fuochi spaventa, spero di non sentirli.

Cosa prendo? Cosa posso prendere in così poco tempo? Vorrei portare tutta la mia stanza, vorrei non scegliere. In fondo sono solo un bambino, cosa potrò mai portare con me? Ho delle belle scarpe, dei bei vestiti, un bel cappellino, ma se dovessi fare una scelta prenderei forse i giochi della mia infanzia, giochi che potrebbero immergermi nella fantasia, in un mondo in cui non debba scegliere quel poco che ho. Il tempo sta per scadere, papà grida, sento sirene in lontananza che scandiscono la mia decisione; mi affaccio dalla finestra, per strada la gente corre come quando giochiamo a scuola, forse è davvero un gioco come dice il mio papà. Continuo a ruotare la testa per tutta la stanza, cercando cosa davvero può servirmi prima di abbandonare il mio nido; cammino nervosamente su e giù, apro i cassetti, guardo nella  scatola dei giochi, sono indeciso. Papà dà fretta, continuo a sentire le sirene che urlano imperterrite; i fuochi rimbombano nell’aria, eppure non vedo allegria nel viso dei miei cari, perché gioire allora? Mi avvicino al letto, alla mia scrivania, dove ho un diario in cui appunto queste parole confuse. Scendo giù, papà nervosamente dice di andare, ma non ho ancora preso nulla, nulla di importante. Salgo nuovamente nella mia stanza, devo mettere subito nello zainetto la mia infanzia, i miei ricordi più cari. Cosa portare senza sbagliare? Un bambino come me, non dovrebbe scegliere, dovrebbe solo giocare, dovrebbe avere la gioia di non dover decidere tra i frammenti dei suoi giochi. I grandi spesso sono strani, urlano per nulla! Sarebbe bello se rimanessero sempre bimbi, inconsapevoli e puri come all’inizio della vita. Continuo ad osservare la mia stanza, i miei disegni, i miei giochi, la mia vita, tutto quello che fino ad oggi mi ha reso felice. I fuochi continuano senza fermarsi, sono sempre più vicini, le sirene impazzano, mio padre urla fretta, mia madre piange, il mio fratellone è andato via da qualche giorno, via “con gli altri” dice papà, forse sarà con i suoi amici come al solito, anche se non torna a casa da giorni. Guardo ancora la mia camera, sembra quasi vuota, è come se volessi salvare tutto ma nulla fosse utile, come se davvero non mi servisse niente, niente di niente, come se stessi portando già tutto con me. Continuo ad affacciarmi dalla finestra, non vedo nessuno per strada, un po’ come se stessero giocando a un grande nascondino; dal mio palazzo lo sguardo cade sulla vicina anziana, che osserva come me la vita che si è fermata. Mi scruta, sorride, poi piange; cerco di farle un bel sorriso, la saluto, le mostro il mio peluche e ritorna a sorridere con gli occhi ancora pieni di lacrime. Ritorno nei miei pensieri, nel poter portare ciò che mi dona felicità, ma ancora nulla, credo che prenderò solo il mio diario, ma servirà? Sento i passi di papà che sale nella mia camera, vorrà sgridarmi per il ritardo, non importa, prenderò comunque ciò che devo. I fuochi fuori casa diventano sempre più forti, sembra quasi una scarica di rumori assordanti, sento urla per la strada; questo gioco non mi piace, lo dirò ai miei genitori. Prendo il mio diario, la mia giacca e un pugno di altri pensieri, nulla più posso recuperare oramai. Papà è arrivato e urla con calma di andare; mi prende per mano, trascinandomi via dalla nostra casa, dai nostri pensieri, dai nostri discorsi, dai nostri ricordi, racchiusi lì, in quel piccolo mondo fatto di quotidianità e speranze… I fuochi continuano, la mamma piange, le urla furi diventano sempre più strazianti. Ma io sono solo un bambino e come tale, voglio credere che tutto questo sia unicamente un gioco di bimbi impertinenti, che troverà il suo finale, in un abbraccio universale che avrà il sapore di umanità…

Classe ‘86, vive a Squinzano, piccolo paese della provincia di Lecce. Fin da adolescente manifesta una forte passione per la scrittura, percepita come insostituibile mezzo di espressione personale e di comunicazione diretta al cuore delle persone. Appassionato di arte, storia ed archeologia, cresce nel quartiere di Sant’Elia, luogo ancora ricco di mistero, dove conduce ricerche e studi su un convento del 1500, effettuando numerose e importanti scoperte archeologiche che gettano nuova luce sul complesso monastico. Scrive su diversi blog e giornali come “Salento Vivo”, “Spazio Aperto Salento”, “L’ORticA”, “Il Trepuzzino”. È in procinto di pubblicare la sua prima raccolta di scritti con Aletti Editore.

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