Dove vai (quando poi resti solo) … ?!

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  • burrone
  • Dove vai, amico? E’ molto presto, e piove. Sembra un’alba triste, di quelle d’autunno inoltrato, o del tipo cielo plumbeo da nord Europa. Non fa freddo, no, ma la pioggia cade copiosa. Hai l’ombrello, lo vedo, ma non basta a coprirti per intero. E poi le auto, già incanalate nel traffico intenso dei cercatori di parcheggio della prima ora, non hanno alcuna cura del tuo placido andare, gli schizzi feroci delle pozzanghere arrivano come pugnalate violente sui tuoi pantaloni, penetrandovi e giungendo alle ossa. Non fa freddo, no, ma tu lo senti. Forse è quella pioggia sporca, forse è l’indifferenza di chi non si cura di te, viandante romantico in una mattina d’estate travestita di grigio. Ti viene da pensare alle gocce che si schiantano al suolo.
  • Ti viene da fare uno stupido parallelo tra la loro esistenza e la tua. Ma forse le gocce non hanno pensieri, forse non conoscono il dolore della caduta perché non scelgono il loro destino. Cadono e basta, senza troppe storie. Nessun paragone con te. Loro si trasformano, questo sì. Ed è un pensiero che ti riempie di gioia, lo so. Tutto cambia, ma niente si distrugge. Gioia? No, forse no. Tu vorresti che qualcosa mutasse, e poi finisse. Il trasformismo non è contemplato a questo punto della tua vita. Almeno non quello ad oltranza.Tu sei per una soluzione definitiva, te lo leggo negli occhi, amico mio muto.
  • Lasciami in pace anche tu, ok? E’ un momento in cui voglio star da solo, contare le ferite, e metterci il dito dentro. Ho deciso di spingermi all’eccesso, voglio vedere se, rigirando il coltello nelle piaghe, queste poi s’allargano, e il dolore fisico mi fa dimenticare quell’altro. Anche se poi in fondo è uno solo, il mio dolore. Io sono il mio dolore. Soggetto e oggetto, colpa ed espiazione, peccato e castigo, croce e assoluzioneMa perché parli in modo così difficile? Hai pochi anni, come me, dove sono queste ferite? Non le vedo. Ecco, guarda. Questa si chiama Rosangela, è la prima in assoluto e in tutti i sensi. L’ho conosciuta quand’ero seme, ne ho sentito battiti e calore, e lei ha vissuto i miei. E’ mia madre. Il suo amore è stato bello come l’aria per i carcerati, le sue catene d’oro, bravissima nelle indulgenze più del parroco del mio paese, tre Pater, Ave e Gloria e sia lodato Gesù Cristo. Va, e non peccare più.
  • Sguardo languido e voce lamentosa, carezze da bambina al suo bambolotto, trine e merletti per soddisfare la voglia di avere una figlia femmina che non ha mai avuto. Sempre pronta a perdonare con le lacrime agli occhi, mentre la bocca diceva una parola e il cuore il suo contrario, piantando in me ogni volta un robusto pezzo di senso di colpa che niente al mondo avrebbe potuto estirpare mai. Figlio cattivo che fa soffrire la mamma. Mamma caritatevole e comprensiva che perdona. Mia madre, la prima ferita.
  • Lui lo vedi? Un uomo senza nome. Duro, intransigente, spietato. Lavoro, abnegazione, sacrifici. E i suoi sogni consegnati alle mie spalle scheletriche. Sto fatto del sangue, poi … Tutti uguali, necessariamente. E guai a sgarrare, perché suo figlio è perfetto, sangue suo appunto, e lui non ha mai commesso errori, e non concede che li faccia io. Il paese mormora, tu sei chi sei, già… 
  • Chi sono? Mi raccomando, mi raccomando, non mi deludere, un’eco infinita di inutili parole. Mi raccomando. Ok, ti sei raccomandato. Contento? Papà, questo forestiero. Estraneo, lontano, ghigno felice dopo un trenta e lode, sordo al racconto dei miei disagi, giudice supremo di fronte ai miei sbagli, picconatore inflessibile davanti alle mie cadute, boia di fronte alle ricadute. Pieno di stile, senza mai alzare la voce. Con lo sguardo, e a volte neppure con quello. La mia seconda ferita. E no, Dio, no. Non farmi scivolare, aiutami ad andare sulla retta via, e diglielo tu, con parole tue al mio prof. di Anatomia che non posso essere DI NUOVO bocciato all’esame. Sarebbe la terza volta, mio padre non mi parla più da mesi, mia madre sfodera due occhi piccoli e languidi da lucertolina bastonata. E io voglio sparire. Dio, ti prego, pensaci tu. Che pure il prof non è che sia poi così normale, se mai si potesse dire con certezza cosa sia la normalità. Sembra sadico. O forse no. Lui è severo ma equilibrato, mia madre ha lo sguardo più dignitoso e asciutto del pianeta, e mio padre è un uomo sobrio, comprensivo e complice. E Dio esiste. Questa è la verità, da sempre sotto i miei occhi ciechi. La merda sono io. Poco intelligente, ingrato, sfigato, infelice, fallito. L’elenco delle mie ferite è lungo, ma non ne voglio parlare più. Queste due sono quelle mortali.
  • Intanto sono quasi arrivato alla destinazione scelta. E stavolta non vi deluderò, cari mamma e papà. Comincio a salire le scale di ferro. Ho il fiatone, il cuore nel petto è il metronomo dei miei pensieri, la musica sembra folle, ma non mi fermerò. No, invece fermati un attimo, amico, respira e dimmi tutto. Ti hanno bocciato di nuovo ad Anatomia? Scusa, ma mi viene da ridere! Non puoi capire. E non voglio ascoltarti. Mi ascolterai eccome! Dove vai? Dove cazzo vai? Aspettami, vengo con te. Ieri anch’io per la terza volta non ho superato l’esame di Biochimica e anch’io ero preparato. E ora sono deluso, in ritardo, mortificato. Ma quelle scale non le salgo. Aspettami, ti raggiungo, ma per farti scendere. Insieme attenderemo che spiova, cercheremo di capire qualcosa delle nostre formule che sono un milione di volte più importanti di quelle chimiche. Aspettami, fermati, scendiamo insieme! Sono arrivato in cima, e il ferro delle scale somiglia a quello del mio cuore. Si è fuso perfettamente. Pioverà per sempre e non avrò più ombrelli, e gli schizzi delle auto saranno una carezza quando sarò arrivato al suolo. Ma non li sentirò. Né gioia né sofferenza. Libertà. E tu, se mi vuoi un po’ di bene, lasciami andare. Ma non vedi che tra queste maledette nuvole filtra un raggio di sole? Non vedi che il mondo, già solo per questo, sembra sorridere? Oggi andremo sugli scogli a piedi scalzi, ci feriremo e sorrideremo al mare, faremo tante cose sceme, mischieremo le nostre lacrime alle gocce di umidità, faremo colazione all’ora di pranzo, suoneremo ai campanelli, entreremo in una chiesa, telefoneremo a casa, aiuteremo i vecchietti ad attraversare la strada, andremo a trovare i nonni, accarezzeremo i cani randagi, dormiremo al parco, berremo una birra, conosceremo due fantastiche ragazze … Fermati un attimo, dai, ti prego! Mi fermo, ma solo un momento, sono improvvisamente così stanco … Facciamo un patto. Solo per oggi pensiamo a noi. Domani parleremo di vuoti, di bellezza, di dolore. Di delusioni, rifiuti, schiaffi in faccia. Di solitudine, ricordi, sogni infranti e desolazione. Di madri, padri, cause, effetti. Domani deciderai, se vorrai salire ancora una volta su quella scala di ferro. Salire e poi volare giù. Ti lascerò andare, promesso. Oggi no. Oggi è il mio compleanno e sono solo, amico, come te. In questa città ignara ed indifferente, in questa estate lontana dal tempo, in questa vita che non riesco a raddrizzare, in una tristezza che somiglia così tanto alla tua. Regalami un po’ del tuo tempo, solo per oggi. E adesso scendi da quelle scale, e dimmi come ti chiami.
  • Fabrizio, mi chiamo Fabrizio, mi dici piangendo. Pioggia e lacrime. E un abbraccio. Breve storia di un incontro che salva la vita
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