“Applausi a scena vuota” di David Grossman: il trionfo della profondità e della sensibilità

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Avishai Lazar giudice in pensione, una sera, riceve un’insolita e inaspettata telefonata da Dova’le, suo amico d’infanzia. Dopo essere passati più di quarant’anni, una sola e al contempo disarmante richiesta: Dova’le desidera fortemente che l’amico assista ad un suo spettacolo di cabaret e gli riveli cosa vede, “Voglio che tu venga a vedermi… a vedere la cosa che un uomo irradia all’esterno, senza volerlo, che solo lui possiede al mondo… il segreto, l’unicità, il mistero. Tutto ciò che va oltre le parole per descrivere un essere umano, oltre le cose che gli sono successe”.

Avishai Lazar inizialmente titubante e perplesso, decide poi, di assecondare ed esaudire quella richiesta e così si ritrova con l’amico in un cabaret di Netanya, cittadina israeliana, il primo tra il pubblico e il secondo sul palco in uno spettacolo apparentemente strano, a giudicare come Dova’le, nel corso della serata scoprirà l’intera vita del vecchio amico ma soprattutto se stesso. Da ragazzi, insieme, avevano frequentato le stesse lezioni di matematica intessendo una breve e liberatoria amicizia.

Un romanzo estremamente intenso, come d’altronde tutte le opere di Grossman; i protagonisti principali: Avishai Lazar e Dova’le, nella trama narrativa si ergono come giganti in tutta la loro grandezza e profondità. Due vite molto diverse e dissimili le loro, che ad un certo punto, si intrecciano per poi perdersi e ritrovarsi più di quaranta anni dopo. L’io narrante è il giudice spettatore, con uno scopo ben preciso: la catarsi; fulcro della storia sono fondamentalmente le vicende che ruotano intorno alla figura di Dova’le, eccentrico ragazzino dall’esistenza ruvida e difficile e di Lazar, bambino estremamente riservato, silenzioso, poi uomo solitario e schivo. I luoghi sono quelli cari all’autore che nei suoi libri fa rivivere, il tema della Shoah o comunque dell’eterna sofferenza del popolo israeliano. Lo spettacolo che mette in scena è un intreccio di ricordi, esternazioni di amarezze e sconforto che Dova’le si porta dentro da una vita, racconti fitti di dolore, sofferenza e forti grovigli interiori; spettacolo finalizzato principalmente a raggiungere il perdono nei confronti di se stesso e di ciò che si rimprovera di non aver fatto. Ed ecco la catarsi.

Un romanzo bellissimo, estremamente umano; i drammi vissuti vengono rievocati nella loro dolorosa e coraggiosa rielaborazione innescandosi in un processo liberatorio delle proprie sofferenze, non solo agli occhi degli altri, ma soprattutto ai propri. Un romanzo quello di Grossman che vede il trionfo assoluto dell’intelligenza, della sensibilità e della profondità. Tutta l’impalcatura narrativa di questa intensa opera si erge sul confronto dei due protagonisti, ossia su un rapporto che “scardina l’identità” di qualcuno. Nello specifico del romanzo due amici con un ruolo ben preciso, quello di essere un “coltello che serve a sezionare l’altro” , con la finalità di rivelarsi in tutta la propria identità, riconciliandosi con se stessi e con il mondo. Dova’le si mette coraggiosamente a nudo di fronte a Avishai Lazar con intensità e senza filtri, senza difese, senza riserve.

Per Grossman fondamentale è l’apertura di noi stessi che implica sempre una libertà dell’anima visto che, non ci si può aprire totalmente all’altro senza liberare l’anima. Un messaggio questo, nobile e incisivo …in una società, sempre più spesso senz’anima e di facciata.