Tra pregiudizio e realtà

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Stati uniti d’America, 1974: il dr Robert Rosenthal finge di somministrare un test agli alunni di una classe primaria e, al termine di esso, comunica agli insegnanti i nomi dei bambini più promettenti in base ai risultati ottenuti. Alla fine dell’anno scolastico gli allievi da lui indicati come più intelligenti e predisposti allo studio, avevano effettivamente ottenuto le valutazioni più alte da parte degli insegnanti, inducendo Rosenthal ad elaborare il cosiddetto “Effetto Pigmalione” (o “Effetto Rosenthal”), secondo cui i suoi “falsi giudizi” avevano influenzato le opinioni dei docenti, orientandone il comportamento verso la realizzazione di quella previsione. La sua ricerca derivava infatti dagli studi di Merton (1948) sulla “Profezia che si autoavvera”, una teoria secondo cui è sufficiente credere che qualcosa andrà in una certa maniera per far sì che ciò accada, anche in assenza delle condizioni concrete necessarie ad innescare questo accadimento. Può sembrare “magia”, ma non è così, è una realtà che tutti conosciamo e di cui tutti paghiamo le conseguenze, sia a livello individuale che a livello sociale, dove, associato allo stereotipo, è precursore di fenomeni come il razzismo, la discriminazione e l’esclusione di uno o più individui e gruppi. È il pregiudizio, che, nella dimensione individuale, si esprime egregiamente attraverso tutti i nostri “So che andrà così”, “So che quella è così”, “So che non ce la farò mai”.

Anche chi tra noi si reputa persona “aperta e disponibile” porta frequentemente con sé il peso dei propri pregiudizi, secondo un’economia del pensiero necessaria alla mente umana per sintetizzare la complessità del reale. Il punto è, però, che questo meccanismo che ci spinge a giudicare persone e situazioni aprioristicamente, porta nella maggior parte dei casi più ad un inutile dispendio di energie che ad una reale economia. Il pre-giudizio, infatti, induce a comportamenti che non trovano una giustificazione nella realtà e, proprio per questo, genera conseguenze che incidono concretamente sulla nostra vita -in particolare nella sfera relazionale- e la cui gestione richiede, invece, un gran quantitativo di energie. Il pregiudizio non è altro che un’idea, cioè qualcosa che non esiste nella realtà, sulla base della quale orientiamo il nostro comportamento rispetto a noi stessi, agli altri ed alle situazioni senza averne di fatto avuto esperienza. È una modalità di pensiero automatica, non deriva dall’analisi razionale dei vari oggetti del reale, al contrario la rifiuta e si contrappone ad essa, pertanto il comportamento manifesto che ne consegue si fonda su preconcetti, stereotipi, luoghi comuni. Quindi, sulla base di qualcosa che non conosciamo realmente, ogni giorno prendiamo decisioni, facciamo scelte più o meno significative e ci relazioniamo con noi stessi e con gli altri, ignari del fatto che probabilmente molti dei nostri comportamenti derivano dai nostri pre-giudizi, piuttosto che da giudizi formulati in seguito ad un confronto con la realtà.

Nessuno si salva dal pregiudizio, neanche il nostro Io, anzi, spesso siamo le prime vittime inconsapevoli di questo automatismo e, involontariamente, creiamo le condizioni necessarie affinché le cose vadano proprio come avevamo presunto. Se, per esempio, mi convinco di non essere in grado di portare a termine un certo compito, cioè pre-giudico le mie abilità senza averle prima passate al vaglio della prova, molto probabilmente non mi cimenterò mai in questa impresa, non inizierò nemmeno, continuando a ripetermi che non ne sono capace. Così facendo farò automaticamente avverare la mia profezia: l’obiettivo non è stato raggiunto, quindi non possiedo le capacità per ottenere quel risultato. Ma è evidente che le cose non siano andate proprio così, dal momento che non è stato fatto alcun un tentativo! Al contrario, ho orientato il mio comportamento verso l’evitamento della situazione, piuttosto che verso la sua soluzione, legittimando così la mia scelta su basi astratte, irreali. In questo semplice esempio si può facilmente intuire come i pregiudizi rappresentino spesso delle trappole mentali, gabbie del pensiero di cui possediamo la chiave ma che non riusciamo ad aprire perché non sempre siamo coscienti di agire in base ad essi, o meglio, non li riconosciamo in quanto tali. Ciò è imputabile anche alla diffusa tendenza a travestire i nostri pregiudizi da qualcos’altro, spesso di natura sentimentale, per poterci convivere senza troppi pensieri. Quante volte, per esempio, attribuiamo alla gelosia i nostri problemi di coppia? Ma soffermandoci a riflettere, potremmo scoprire che non si tratta di un nostro modo di sentire, quanto piuttosto di pensare, anzi, di pre-pensare: probabilmente non è la gelosia a suscitare quel senso di insicurezza che vivo nella relazione con il mio partner, quanto piuttosto i miei pregiudizi su di lui o su di lei, le idee preconcette in base alle quali do un significato ai suoi comportamenti, alle sue parole, al suo modo di rapportarsi a me. Che queste idee trovino o meno un riscontro nella realtà oggettiva è una questione che troppo spesso ignoriamo, pagando a caro prezzo le conseguenze del nostro “fare economia” sulla qualità della nostra vita.

Ma è possibile evitare il pregiudizio? Nell’attesa di una risposta, potremmo provare a sospendere il giudizio, a “fare epoché”, con noi stessi e con gli altri e ad accogliere, semplicemente, ciò che la realtà ha da offrirci.

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2 COMMENTI

  1. Illuminante. Mi ricorda una frase citata da qualcuno tanto tempo fa:” La maggior parte dei nostri pregiudizi regnano in noi, contro noi stessi.” Brava Elisa!

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